Nell'Anfiteatro le Luci della Centrale Elettrica

Nell'Anfiteatro le Luci della Centrale Elettrica
Le Luci della Centrale Elettrica stasera in concerto nell'Anfiteatro Romano di Lecce per la data off speciale del festival SEI - Sud Est Indipendente Festival. Vasco...

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Le Luci della Centrale Elettrica stasera in concerto nell'Anfiteatro Romano di Lecce per la data off speciale del festival SEI - Sud Est Indipendente Festival. Vasco Brondi approda in Salento con il nuovo album Terra, quarto disco di inediti, uscito a marzo del 2017, dopo Canzoni da spiaggia deturpata (2008), Per ora noi la chiameremo felicità (2010) e Costellazioni (2013). Prodotto artisticamente da Vasco Brondi e da Federico Dragogna, l’album è composto da dieci brani: dieci trame per unico filo colorato, tessuto nel modo visionario e lucido che ha reso Vasco Brondi uno degli artisti italiani più riconosciuti e riconoscibili degli ultimi dieci anni, e che in Terra si dimostra capace di raccontare i cambiamenti culturali e sociali che hanno contraddistinto gli ultimi decenni attraverso una musica che sempre di più sposa l’attitudine cantautorale con i suoni e i ritmi del mondo.


Come nasce il tuo ultimo album?
 
L’idea era quella di fare un disco che fosse come una sorta di cartolina da spedire nello spazio da me e dall’Italia di adesso, come se fosse un modo di presentarsi a chi non sa niente di questo posto e di questo tempo. Per questo mi viene da definirlo un disco etnico ma di un’etnia immaginaria che è quella italiana di adesso, la nostra identità in transizione. Musicalmente si mischiano tamburi africani e melodie balcaniche, distorsioni e canti religiosi, techno araba e ritmi sudamericani. Il tutto modo filologicamente sbagliato, non è un disco di world music è un racconto corale. Queste musiche hanno attirato da sole le storie del disco, di fughe e di ritorni da ogni direzione verso ogni direzione. Sono storie piene di tutte le contraddizioni degli essere umani, è una lista delle sue contraddizioni, lo stesso essere umano che inventa le armi di distruzione di massa e anche le canzoni d’amore.
 
Secondo te in che epoca stiamo vivendo?
 
È un'epoca di transizione come tutte le epoche. Tra le altre cose passa il fatto che sia più bello e interessante criticare che creare, passare il tempo a fare battutine su Internet. In questo ultimo disco ho scritto un pezzo che si chiama Iperconnessi che parla anche di questo: alla fine dice che forse siamo qui adesso per rivelarci e non per nasconderci.
 
Cosa vedi dal palco? Qual'è il pubblico di Vasco Brondi?
 
In dieci anni sono cambiate molte cose: ad esempio prima guardavo il pubblico al di là della transenna e rivedevo me stesso, adesso il pubblico si è molto ampliato vedo gente di tutte le età. Soprattutto, ci sono anche ragazzi molto più giovani di me, che sento diversi, ed è anche una bellissima sensazione per quanto straniante. Quando ci parlo dopo i concerti mi stupiscono i loro gusti musicali, per esempio.
Un tempo i confini erano più rigidi: io ascoltavo i CCCP e gli Afterhours, la scena indipendente insomma, e poi al massimo De Gregori e Battiato, loro invece postano sui social network il biglietto del mio concerto e magari quello di un loro coetaneo che fa hip hop. Però c'è una cosa che non cambia nelle diverse generazioni: anche se ascoltano musica che io non capisco, al di là delle parole, al di là della stessa musica, quello che conta per tutti è che dentro ci senti la vita, il cambiamento, la prospettiva di qualcosa di diverso che va in risonanza con ciò che hai dentro
 
Cosa consiglieresti a un giovane cantautore?
 
Io ho iniziato a lavorare in un bar che avevo diciotto anni e sono andato via da casa e intanto suonavo, a un certo punto ho deciso di chiudermi tutte le vie di uscita di emergenza e continuare solo nella direzione della musica ma non è un consiglio che mi sento di dare agli altri, semplicemente mi sembrava di non avere alternative a quello che faccio adesso. Era un futuro improbabile ma che è arrivato. Il consiglio che mi sento di dare è quello che dava a tutti Andrea Pazienza: “viscere sul tavolo”. Sincerità fino in fondo.
 
Che concerto vedremo a Lecce?
 
Nella formazione per questo tour ci sono Marco Ulcigrai alle chitarre, Angelo Trabace al pianoforte e sintetizzatori, Matteo Bennici al basso e al violoncello e Giusto Correnti alle percussioni, oltre a me alla voce e alla chitarra acustica. L’idea era quella di creare una formazione anche abbastanza classica del rock ma per fare qualcosa di diverso, lavorare su altre scale e altre sonorità e altre ritmiche per suonare questo strano disco etnico.
C’è una nuova scaletta rispetto al tour nei club, si mischiano le sonorità dei dischi precedenti a quelle di Terra, ci sono momenti orchestrali e canzoni suonate da solo, da ballare scoordinati o ballare stando fermi, cassa dritta o piano e voce, canzoni che hanno una nuova veste e altre che sono tornate a quella che avevano quando le ho scritte in solitaria con la chitarra e che cambiano ogni sera.
Credo che per quanto si possa lavorare a un disco, in questo caso almeno un anno e mezzo, poi le canzoni trovano la loro vera voce direttamente sul palco, si assestato in furgone tra un concerto e l’altro. I concerti in un modo diverso dalla scrittura sono un modo di esprimersi e di liberarsi di qualcosa in modo bellissimo. Sono sempre un rito liberatorio.
 
Se ti dico "Puglia" a cosa pensi?
 

Ho iniziato a fare concerti in Puglia quasi da subito quando ho iniziato a suonare 10 anni fa e da subito mi hanno sorpreso: avevo scritto un disco che parlava di un chilometro quadrato della mia città, Ferrara, e dei miei 4/5 amici e lì, da tutt'altra parte d'Italia, vedevo persone che la cantavano a squarciagola. E' stata da subito una grande emozione. Anche adesso sono molto contento di tornarci, è sempre una sorpresa trovare tutto quel calore e attenzione. 
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Quotidiano Di Puglia