Unisalento, la protesta dei prof sugli scatti stipendiali: «Pronti a fermare le lezioni»

Unisalento, la protesta dei prof sugli scatti stipendiali: «Pronti a fermare le lezioni»
«Stop Vqr». Per ora bloccano sono la Vqr, ovvero la “Valutazione della qualità della ricerca”, ma presto le azioni di protesta potrebbero...

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«Stop Vqr». Per ora bloccano sono la Vqr, ovvero la “Valutazione della qualità della ricerca”, ma presto le azioni di protesta potrebbero estendersi fino allo stop di lezioni e sessioni di laurea. Sono più di 20.000 i docenti universitari di 82 Atenei italiani “in rivolta” contro il blocco delle classi di concorso e degli scatti stipendiali. Tra questi anche i professori dell’Università del Salento, pronti ad azioni più decise qualora dal Governo non dovessero arrivare le risposte attese da tempo.


Ieri l’assemblea dei docenti del Dipartimento di Storia, Società e Studi sull’Uomo ha stilato il primo documento pubblico sulla protesta, ma anche gli altri Dipartimenti di Unisalento si stanno muovendo nella stessa direzione. La questione all’ordine del giorno è più che spinosa e riguarda il blocco degli scatti stipendiali e quello delle classi di concorso: «È una questione di dignità» sottolineano i docenti di Unisalento, stanchi di chinare sempre la testa, soprattutto dopo che gli ultimi governi hanno considerato l’università pubblica un salvadanaio, a cui sottrarre continuamente risorse senza mai aggiungerne di nuove, a non troppo velato vantaggio degli Atenei privati.

«Noi docenti e ricercatori del Dipartimento di Storia, Società e Studi sull’Uomo siamo completamente insoddisfatti del trattamento riservatoci dal Governo italiano. Come altre categorie di lavoratori pubblici abbiamo subito un blocco degli scatti stipendiali dal 2011 al 2015, ma a differenza degli altri non è prevista nel cosiddetto “Provvedimento Mille proroghe” nessuna forma di rimborso e di adeguamento stipendiale - incalzano i professori -. Nella maggior parte dei casi il danno arriva a superare i 90.000 euro netti complessivi (tra mancati accrediti, trattamento di fine rapporto e pensionistico) e penalizza soprattutto i più giovani. I mezzi d’informazione che hanno elogiato la pessima Riforma Gelmini insistono da molti anni sui favolosi stipendi dei docenti e dei ricercatori universitari. Ricordiamo che gli stipendi medi dei professori aggregati si aggirano intorno ai 1.800 euro al mese, dei professori associati intorno ai 2.500 euro mensili e dei professori ordinari intorno ai 3.000 euro mensili. Tutti gli stipendi, si noti bene, sono calcolati con un’anzianità di servizio di almeno 10 anni». Da qui la protesta, sull’onda di quanto sta accadendo in tutta Italia.

«Siamo stanchi della continua disattenzione ai problemi della nostra categoria, cui sono stati negli ultimi anni aggiunti infiniti oneri burocratici, tanto che impieghiamo più della metà del nostro tempo di lavoro in incombenze amministrative, penalizzando così la didattica e la ricerca e quindi la formazione dei nostri stessi ragazzi - sottolineano i docenti del Dipartimento di Storia, Società e Studi sull’Uomo -. Vogliamo che gli studenti e le loro famiglie siano consapevoli dei motivi per cui lottiamo: si tratta di una battaglia di dignità. Le università italiane sono state letteralmente spolpate di risorse. La ricerca di base, fondamentale per la scienza nel nostro paese, è stata totalmente azzerata. Negli ultimi anni la linea politica seguita dai diversi governi è stata quella di colpire in primo luogo le università meridionali, con l’obiettivo sempre più evidente di svuotarle della ricerca e di trasformarle in corsi di formazione para-scolastici (le cosiddette teaching university), trasferendo le risorse unicamente alle maggiori università settentrionali».


Il movimento di protesta non chiede di non essere valutato né aumenti di stipendio, chiede di essere trattato come altre categorie non contrattualizzate di analogo livello. Una battaglia, questa, che non riguarda esclusivamente le tasche dei docenti, ma soprattutto la dignità della categoria. «Il Ministero ci impone una “Valutazione della qualità della ricerca” (Vqr) per distribuire quote crescenti di budget universitario a seconda del presunto valore delle pubblicazioni dei singoli Dipartimenti delle singole Università - concludono i docenti -. Per ora bloccheremo la Vqr che ci riguarda: ciascuno di noi ha scritto ben più delle due pubblicazioni che vengono richieste per l’ultimo quinquennio e presto saranno tutte visibili nel sito del nostro Dipartimento. Per rispetto nei confronti degli studenti e delle loro famiglie che continuano a investire con sacrificio nel sapere universitario, non abbiamo per ora intenzione di arrivare al blocco totale della didattica e delle sedute di laurea. Per ora».
M.C.M. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia