Il cartello affisso su palazzo Chigi recita valutazioni tecniche in corso, per quanto tempo ancora però si vedrà. «Tra un po'», scandisce il premier...
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Insomma: un messaggio, non del tutto criptico, indirizzato soprattutto all'ala più oltranzista dei cinque stelle, che ancora immagina un'exit strategy dal metanodotto (che porterà in Europa 10 miliardi di metri cubi di gas all'anno). Il braccio di ferro tra anime e alleati del governo c'è, ed è di tangibile evidenza: il vicepremier e leader leghista Matteo Salvini è uscito allo scoperto, spiegando in questi giorni che l'opera va realizzata anche perché inciderebbe sulla bolletta di imprese e famiglie con risparmi nell'ordine del 10%. I pentastellati perlopiù tacciono, almeno in questa fase, attenendosi al cauto diktat di palazzo Chigi: prima le valutazioni tecniche, poi «la sintesi politica - ha detto Conte - che spetta al presidente del Consiglio con i suoi ministri». Sui piatti della bilancia peserà tutto: «Siamo vigili nel cogliere e valutare le istanze della comunità locale», ha spiegato sempre Conte, ma ovviamente dall'altra parte ci sono gli accordi internazionali ratificati, gli impegni sanciti, gli eventuali e ingenti costi di un addio al progetto (dai 20 ai 70 miliardi, a cominciare dalle azioni risarcitorie).
Tuttavia - da Alessandro Di Battista a Barbara Lezzi, ministra salentina del Sud evidentemente condizionata dal pressing delle comunità locali - tra i pentastellati non manca chi continua a invocare lo stop tout court al cantiere e al progetto: non è un caso se proprio ieri il blog di Beppe Grillo ha caricato a testa bassa. «Tap, la vera indipendenza è l'autonomia energetica dell'Italia»: è questo il titolo del post, a firma di Paolo Ermani, ospitato sul sito del comico e padre fondatore del M5s. «Il gas è un combustibile che aumenta l'effetto serra e non è affatto pulito come ci vuole far credere chi lo vende, è meno inquinante del carbone ma inquina comunque. La Tap quindi non è affatto strategica per gli italiani ma è strategica per chi vuole fare dell'Italia una piattaforma di smistamento del gas in tutta Europa. L'ennesima volta che l'Italia si presta ad essere colonia per gli interessi di qualcun altro», si legge.
Di Tap, così come più in generale dell'affaire grandi opere, Conte ha discusso anche con Luigi Di Maio e Matteo Salvini nel corso della giornata. La linea è sempre quella: «Alla fine ci sarà una valutazione e sintesi politica che spetta al presidente del Consiglio coi suoi ministri». Conte la scorsa settimana, reduce dall'incontro (e dalle rassicurazioni) con Donald Trump, ha ricevuto la delegazione capeggiata dal sindaco di Melendugno, e «ne è risultato un ampio confronto, molto tecnico». «Ho richiesto la presenza di tecnici perché non ha senso parlare in modo astratto di un'opera pressoché completata per il 70% in Grecia e Albania, e in Italia per il 30-40%». «Garantiamo una verifica presso i ministeri competenti della procedura sin qui seguita», ha precisato il premier. «Vogliamo accertarci che sia stata corretta, di fronte a dubbi irregolarità faremo verifiche interne, così come su Ilva». In parallelo rispetto alle «valutazioni tecniche» e prima della «sintesi politica» potrebbero esserci nuove convocazioni: non solo delle comunità locali, ma anche di Tap e Snam. Sul tappeto ci sono del resto due carte per provare ad attutire l'impatto dell'opera: lo spostamento dell'approdo (quasi impossibile), oppure i ristori ambientali e le compensazioni a largo spettro per il territorio. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia