Non solo gli accordi internazionali - sottoscritti e blindati tempo fa - o i costi, fino a 70 miliardi, che graverebbero sulle casse dello Stato italiano. A frenare o addirittura...
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Il pressing a stelle-e-strisce si innesta ovviamente su quanto in questa fase succede in Italia: il governo gialloverde sta toccando con mano la complessità del dossier Tap, ma almeno metà della maggioranza parlamentare (i cinque stelle) aveva promesso un repentino colpo di spugna sull'opera. Da settimane si assiste al vorticoso valzer di dichiarazioni di ministri e sottosegretari, anche pentastellati, e sono dichiarazioni a intensità variabile: si spazia dal categorico no all'opera fino al bollino verde pieno, passando per l'analisi costi-benefici nel Comitato di conciliazione o per il «confronto con il sindaco di Melendugno e i cittadini» (è questa l'ultima affermazione di Luigi Di Maio, vicepremier e ministro dello Sviluppo economico).
«La sicurezza energetica - ha spiegato nei giorni scorsi il dipartimento di Stato - è un obiettivo strategico essenziale per gli Usa e l'Europa. Tale garanzia è fondamentale per la sicurezza nazionale dei nostri alleati e partner europei». «Il fermo sostegno degli Stati Uniti per il Southern Gas Corridor da oltre 40 miliardi di dollari passa attraverso molteplici amministrazioni e continua, nonostante non ci sia un investimento diretto americano in questo progetto. Per i consumatori europei, il Corridoio significa una maggior sicurezza energetica di lungo termine, e la competizione all'interno dei mercati, perché il gasdotto ridurrà la dipendenza dell'Europa da una singola fonte di gas». E ancora: «Il Southern Gas Corridor sta progredendo bene. Ci sono stati ritardi per il Tap, ultimo tratto Corridoio Sud, ma sappiamo che ora la Tap ha tutti i permessi richiesti. Sollecitiamo dunque gli italiani a continuare la realizzazione del gasdotto». Non solo: l'Azerbaijan, come ha spiegato il politologo americano Edward Luttwak, «è un Paese accerchiato da Iran e Russia, ed è un alleato degli Usa».
Concetti che oggi Trump ribadirà a Conte. E che avranno inevitabili riflessi sul governo, dopo che nei giorni scorsi il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi avevano rassicurato il presidente azero Ilham Aliyev circa il «rispetto degli impegni presi». Il tema delle grandi opere sta terremotando il governo gialloverde: da una parte il M5s subisce il pressing della base e dei territori, che rivendicano le drastiche promesse della vigilia; dall'altro lato c'è la Lega, che - seppur senza prese di posizione ufficiali - non vorrebbe lo stop alle grandi opere (oltre a Tap, emblematico il caso Tav). Nel mezzo c'è la realpolitik, l'impatto con paletti e condizioni dei singoli fascicoli. Di Maio ieri ha slegato i destini di Tap e Tav, visto che circolava l'ipotesi di una specie di bilanciamento (sì a un'opera, no all'altra), quanto al gasdotto ha insistito sulla necessità di «parlare con il sindaco di Melendugno e con i cittadini». Passaggio che però non sembra preconizzare al momento soluzioni: una volta aperto il confronto con sindaco e comunità locali, e preso atto della loro richiesta categorica di uno stop al gasdotto, si ritorna sempre alla casella iniziale. E cioè: che fare? Rinunciare all'infrastruttura e accollarsi le ricadute internazionali e finanziarie, oppure andare avanti? O anche spostare l'approdo del Tap? Sempre che Di Maio per «parlare con sindaco e cittadini» non intenda qualcosa in più, e cioè spiegare agli oppositori locali che un addio all'opera comporterebbe conseguenze-capestro per tutto il Paese, e che a quel punto l'unico obiettivo sarebbe mitigare l'impatto del metanodotto e lavorare sui ristori territoriali. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia