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Una visione. In Puglia è lei, oggi, la grande assente dalle politiche pubbliche in tema di turismo. Francesco Palumbo, profondo conoscitore di un’industria che fatica a trovare una direzione, la pensa così. Dal 2021 direttore della Fondazione Sistema Toscana, società in house della stessa Regione che si occupa dello sviluppo della comunicazione digitale per la valorizzazione e la promozione dei beni e delle attività culturali, Palumbo è stato direttore dell’Agenzia Toscana Promozione Turistica e, ancora prima, direttore generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e direttore dell’Area politiche per la Promozione del Territorio e dei Saperi della Regione Puglia.
Direttore lei conosce bene il nostro territorio, le sue potenzialità e i suoi limiti. Che cosa ci manca per far decollare il turismo consolidando la posizione della Puglia nel panorama italiano?
«La Puglia è diventata rapidamente una destinazione turistica. Ha scoperto la sua capacità attrattiva in appena dieci, quindici anni. Sono stato direttore dell’Area politiche per la promozione del territorio dal 2006 al 2015 e so quanto è cresciuta, ma questa crescita così rapida ha portato con sé anche elementi di estrema vulnerabilità, a partire da un turismo ancora troppo stagionale e con forti elementi di debolezza sul mercato estero. Un “turismo leisure”, cioè prevalentemente di svago, caratterizzato da una contrapposizione fra estremi: è di massa o di lusso. Nel primo caso, la domanda incontenibile ha scatenato un aumento forte dei prezzi e una serie di problemi, come lo svuotamento dei centri storici, il moltiplicarsi di un commercio di scarsa qualità legato proprio ai flussi turistici e poi il proliferare di una ricettività non sempre adeguata. Se per la fascia del lusso ci si è attrezzati a recuperare masserie e palazzi storici - come accade a Lecce che ha un centro storico di qualità - per il turismo di massa è scoppiato il mercato delle seconde case, che ha molte meno ricadute. Sono mancate, quindi, politiche di investimento e di promozione per rafforzare il brand Puglia, è mancata una programmazione capace di strutturare l’offerta. Si deve ragionare su che tipo di turismo vorremmo attrarre e organizzare l’offerta di conseguenza, pubblico e privato insieme, per attrarre quel turismo».
E ora come si rimedia a questa mancanza? Siamo in un momento fertile di possibilità, con i Comuni impegnati a redigere Piani coste, della mobilità e urbanistici; si lavora all’ampliamento dell’offerta di trasporti. Cosa va fatto?
«Organizzare una programmazione è sempre possibile.
Cosa intende quando parla di formazione di “alti profili per la gestione delle destinazioni”? A quali profili fa riferimento?
«Mi riferisco a tutti coloro che hanno competenze manageriali di gestione della destinazione e che devono essere laureati. I direttori d'albergo, per esempio, da noi raramente lo sono, mentre nel resto del mondo sì. Avere una laurea significa saper gestire un gap di dimensione dell'offerta, significa avere un ventaglio di competenze elastiche, sapersi muovere da una dimensione a un’altra se il contesto lo richiede. Un altro profilo importante è quello che ha competenze tecnologiche, di innovazione e di gestione social, che sono le finestre dalle quali ci si affaccia oggi al turismo».
Trasporti. La Puglia sconta un ritardo sia sul fronte dei trasporti pubblici locali - si pensi ai casi emblematici di Bari e Lecce, città turistiche senza servizi pienamente efficienti - sia su quello dei collegamenti da e per la regione. Come superare questo gap?
«La svolta vera per la Puglia avvenne nel 2010 quando riuscimmo a portare Ryanair a Brindisi. Furono insomma i trasporti a determinarla. Dopo quel passo, si sarebbe dovuto lavorare su politiche che qualificassero l’offerta, sulle singole destinazioni, ma ciò può essere fatto solo e soltanto quando si decide quale turismo si vuole attrarre: anche i trasporti si costruiscono in funzione di questa scelta».
Ma perché, secondo lei, questa scelta non viene fatta? Perché si continua a rinviare una programmazione che è base fondamentale per strutturare un comparto denso di opportunità?
«Non ho più seguito le scelte compiute dalla Regione sui fondi comunitari, ma allargando la prospettiva è l’Italia intera a risentire di questa mancata decisione. A differenza di altri Paesi, come la Francia, qui si fa poca policy, non esiste una programmazione delle politiche pubbliche che però per il turismo è fondamentale: è un comparto che ha asset pubblici - si pensi ai paesaggi e ai musei, per esempio - e un’offerta di servizi che è fondamentalmente privata. L’Italia non ha una policy nemmeno sulla promozione: il ministero viaggia in un senso e le Regioni ognuna per sé. In Francia si sceglie un tema prioritario per un anno e tutti si muovono coordinati su quel tema».
Ci faccia un esempio concreto.
«Se voglio destagionalizzare, gli aiuti alle imprese del Salento dovranno servire, per esempio, a garantire impianti per il riscaldamento delle strutture lungo la costa, visto che da quelle parti generalmente a settembre si chiude. L’Italia fa poca politica industriale e di settore, c'è poca cultura della programmazione, che invece permetterebbe anche una valutazione in itinere di quanto si sta facendo per correggere, eventualmente, la rotta. Basti dire che da noi un documento di programmazione conta 400 pagine perché dobbiamo metterci dentro tutto per non scontentare nessuno, in Gran Bretagna sono di 20 pagine, dedicate a una scelta precisa».
L’Italia è il Paese nel quale si contrappone spesso la manifattura al turismo, quasi fossero due opzioni che si escludono.
«In tema di manifattura abbiamo grandi capacità di innovare i processi, ma sul turismo invece dovremmo e potremmo investire con molta più capacità di innovazione e di programmazione. I mercati asiatici si avvicinano sempre di più all’Europa e all’Italia. Su questo c’è tanto da lavorare, anche in Puglia».
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