Alla fiera del gas dell'Est, in tanti mentono un po' a tutti ed è un mercato di bugie, di documenti citati parzialmente, di smentite persino ai propri sodali, di...
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Alla fiera del gas dell'Est il rischio di salate azioni risarcitorie dovrebbe allora essere un elemento di fatto e un principio di diritto pressoché scontati, elementari, pacifici. Tanto che Quotidiano da mesi descrive vincoli internazionali e nazionali, paletti, scenari che renderebbero una pericolosa e inestricabile giungla lo stop politico al gasdotto. Invece no: alla fiera del gas dell'Est tutti mentono a tutti. Persino a se stessi.
Gli accordi internazionali. Ancora ieri, in uno strenuo tentativo di autodifesa, il M5s ha contrattaccato: «Ecco la carta che dimostra chi imbroglia davvero su Tap». La "pistola fumante" altro non sarebbe che la legge di ratifica (del 2013) dell'Accordo internazionale tra Grecia, Albania e Italia sul Tap, legge sponsorizzata dal governo Pd e ben nota a chiunque, da cinque anni. Anche agli stessi pentastellati. «Si tratta di un accordo tombale e il Paese non può fare altro che subire le decisioni prese», spiegano oggi sul blog delle stelle. Peccato che proprio Barbara Lezzi in campagna elettorale annunciasse solennemente: «Appena il M5s andrà al governo denuncerà il trattato» e «avvierà un ciclo di arbitrati internazionali». Ma non finisce qui: Daniela Donno, altra senatrice salentina in questo citata spesso dai NoTap, fino a poche settimane fa ammoniva che «non è prevista la firma da parte dell'Italia di alcun Host government agreement (Hga)» e «quindi non ci sono penali da pagare». Insomma: fino a ieri per i pentastellati i vincoli internazionali erano valicabili o persino inesistenti, oggi invece sono un laccio dal quale è impossibile liberarsi.
Qual è la verità? Gli accordi sul piatto sono effettivamente due, l'uno ratificato dall'Italia, finalizzato al «rafforzamento della cooperazione tra i tre governi» e sottoposto a clausole, norme e responsabilità del diritto internazionale; l'altro accordo, quello in effetti mai sottoscritto dall'Italia, è tra governi ospitanti l'opera e l'investitore, è un'intesa citata anche dall'articolo 5 del primo accordo ed è limitata ai Paesi su cui ricade larga parte dell'infrastruttura (cioè Albania e Grecia). Nell'accordo sottoscritto dall'Italia ci sono due articoli (7 e 11, intitolati non interruzione del progetto e responsabilità) che determinano comunque impegni e violazioni. Ribadiamolo: nulla di segreto o inaccessibile.
Penali sì o no e costi. Le azioni risarcitorie, si diceva. Si badi, e come da mesi qui ribadito: non si tratta di penali, con buona pace di Luigi Di Maio - ministro dello Sviluppo economico - che s'è sbilanciato a tal punto da evocarle e per di più «segrete». Il leader pentastellato è stato non a caso smentito dal suo stesso premier: «Chi sostiene che lo Stato italiano non sopporterebbe alcun costo o costi modesti non dimostra di possedere le più elementari cognizioni giuridiche», ha spiegato Conte. Le «più elementari cognizioni giuridiche» rimandano proprio a lucro cessante e danno emergente sopra citati. Insomma, sostenere - come ha fatto Di Maio - che «le carte un ministro le legge solo quando diventa ministro e a noi del M5s non hanno mai fatto leggere alcunché» è quantomeno audace. O soltanto falso: sarebbero bastati un codice civile, l'Accordo internazionale ratificato dal Parlamento, il decreto autorizzativo del Mise e gli accordi di durata della concessione (25 anni) del gasdotto. Tutto materiale facilmente reperibile. Resta una domanda: prima di arrivare al governo, i cinque stelle semplicemente non avevano studiato questi aspetti e documenti, oppure sapevano e hanno omesso agli elettori?
La lettera del Mise. Alla fiera del gas dell'est si vive anche di paradossi e mezze verità. I NoTap insistono: «Non ci sono penali». Ed è vero, lo Stato non è un contraente privato. E aggiungono: «Lo scrive anche Gilberto Dialuce, direttore generale del ministero dello Sviluppo economico, nella lettera di risposta alla nostra richiesta di accesso civico generalizzato agli atti (Foia)». Anche questo è vero. Peccato che Dialuce nella seconda pagina della lettera spieghi quanto segue - così gelando M5s e NoTap: «Un'eventuale revoca dell'autorizzazione rilasciata e riconosciuta legittima da tutti i contenziosi amministrativi, col conseguente annullamento del progetto, causerebbe una serie di danni a soggetti privati (la società costruttrice, le società che hanno avuto appalti di lavori, gli esportatori del gas, gli acquirenti che hanno già firmato contratti di acquisto venticinquennali) e pubblici, configurando richieste di rimborso degli investimenti effettuati nonché dei danni economici connessi alle mancate forniture, anche al di fuori del territorio italiano, nei confronti dello Stato italiano, attivando cause o arbitrati internazionali in base alle convenzioni internazionali firmate dall'Italia che proteggono gli investimenti esteri effettuati da privati, motivati anche dalla violazione dell'Accordo intergovernativo sottoscritto e ratificato dal Parlamento italiano». Nulla che non si potesse intuire.
Come si quantificano i danni? «Da 20 a 35 miliardi» è il danno che ricadrebbe sulle casse dello Stato, ha ammesso Conte. «Fino a 70 miliardi», ipotizza invece Socar (la società pubblica dell'Azerbaijan). Più di qualcuno ha avvertito: dall'accesso civico agli atti non emerge alcuna quantificazione del danno. Ma come per qualsiasi azione risarcitoria, l'entità dei risarcimenti è sottoposta ad oscillazioni e variabili, ed è piuttosto ingenuo immaginare l'esistenza di una "carta rivelatrice" che fissi nero su bianco un numero secco, men che meno fruibile con l'accesso civico agli atti. Possono essere però facilmente individuati i fattori di determinazione e quantificazione del danno: lo stralcio della lettera di Dialuce sopra citato dà molte indicazioni; l'opera complessivamente costa 4,5 miliardi, tra Grecia e Albania è completata all'80%, quindi si aggira oltre i 3 miliardi il valore (da risarcire, in caso di addio) del tratto finora realizzato; la durata venticinquennale dei contratti è un altro indicatore dimensionale del danno, tanto che potrebbe attestarsi ad almeno 10-11 miliardi la perdita causata dalla mancata consegna del gas agli otto acquirenti (tra cui le italiane Edison, Enel, Hera) che hanno già opzionato gli stock di gas; senza trascurare il mancato utile del Consorzio Tap e degli estrattori azeri. Ecco perché le promesse elettorali erano, appunto, solo promesse. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia