«Per salvare l’olivicoltura dal batterio della xylella fastidiosa bisogna puntare sulla cura e sulle varietà resistenti alla malattia. Il leccino non basta,...
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«Sul leccino, benché manchi ancora una pubblicazione scientifica sulla ricerca condotta da alcuni studiosi del Cnr, non ci sono più dubbi rispetto alla sua resistenza. Ma come produttori non ci possiamo accontentare di avere il risultato solo su una varietà di olivo - ribadisce Giovanni Melcarne, portavoce del Comitato -.
Il leccino resta comunque una buona strada, ma secondo gli olivicoltori, una volta raggiunto l’obiettivo di sapere che resiste, ora bisogna fare un altro passo avanti e sperimentare altre varietà. «Tanto più che l’Italia - aggiunge Melcarne - a differenza delle altre nazioni, è l’unico Paese al mondo che presenta tante cultivar, questa biodiversità va preservata, non possiamo permetterci di perderla. La ricerca ci deve dire se e quante sono le piante tolleranti in tutta Italia, fermo restando che la ricerca deve anche andare avanti per trovare quanto prima una cura al batterio».
Intanto, lo studio sulla resistenza del leccino, portato avanti dal Cnr e dall’Università di Bari, dovrebbe essere presto pubblicato da una rivista scientifica internazionale. È stato, infatti, dimostrato che questa varietà, nelle stesse condizioni di ogliarola e cellina, sembra attaccata in forma molto più lieve, sia come frequenza che gravità dei disseccamenti. Le prove si basano non solo su osservazioni visive, ma trovano conferme anche dal punto di vista analitico. Infatti mediante analisi quantitative i ricercatori hanno rilevato differenze significative nella concentrazione del batterio, molto più elevata nelle due cultivar autoctone - ogliarola e cellina - rispetto al leccino. Sulla base di questi dati incoraggianti gli stessi ricercatori hanno avviato studi di trascrittomica (studio dei profili di espressione dei geni di leccino infetto confrontato con quelli di ogliarola infetta) ed è stata già prodotta una libreria di “Rna” messaggeri (che rappresentano una piccola percentuale dell’Rna cellulare e sono una popolazione molecolare molto eterogenea in quanto prodotti della trascrizione di migliaia o decine di migliaia di geni diversi.
«Abbiamo chiesto ai ricercatori - aggiunge Melcarne - di verioficare se alcuni innesti di leccino su una pianta tradizionale sono in grado di condizionare la restante parte dell’apparato vegetale della pianta ed hanno risposto che va verificato. Questa potrebbe essere una speranza in più, ma ripeto è importante sottoporre a test tutte le 400 cultivar». Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia