«L'Italia è perfettamente consapevole che il Tap è un'opera strategica»: poche parole, ma forti come un tuono, che in un soffio potrebbero...
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L'infrastruttura è sempre stata bollata come «inutile e dannosa» dai pentastellati, ma sin dai primi vagiti del governo gialloverde s'è messa in moto la giostra delle prese di posizione di ministri e sottosegretari, tra interlocutorie e future «valutazioni di costi-benefici», nuove virate verso lo stop all'opera e poi invece conferma degli «impegni presi». Insomma, tanta confusione. Che di certo ha attirato le attenzioni e le preoccupazioni internazionali, dallo stesso Azerbaijan all'Ue, fino agli Stati Uniti.
Gli States non recitano un ruolo di primattori nel dossier Tap, ma ritengono il metanodotto cruciale per svincolare l'approvvigionamento energetico dell'Europa dalla stretta dipendenza russa. Peraltro l'Azerbaijan, Paese accerchiato da Russia e Iran, è un buon alleato di Washington. E ieri Trump ha ribadito a chiare lettere le aspettative a stelle-e-strisce sul Tap: «Vorrei vedere qualcosa di competitivo. Spero che riuscirà a farlo e completarlo». Nei giorni scorsi, dal Dipartimento di Stato americano erano trapelate dichiarazioni molto esplicite, che già lasciano preconizzare in che termini il dossier gasdotto sarebbe stato tra i temi del vertice bilaterale: «Sollecitiamo gli italiani a continuare la realizzazione del gasdotto Tap, in quanto rappresenta un passaggio chiave per portare il gas del Mar Caspio all'Europa».
Le parole di Conte, l'impegno e le rassicurazioni offerte a un partner di primissimo piano, il feeling sancito («Sono tante le cose che ci uniscono», ha sottolineato il premier insistendo sul «cambiamento» che entrambe le amministrazioni incarnerebbero) indicano una strada che difficilmente ora potrà essere abbandonata: per questo governo il Tap è «strategico», al più potranno essere mitigati e addolciti alcuni aspetti dell'opera. Eppure, appena poche ore prima Barbara Lezzi - ministro del Sud, salentina e pentastellata da sempre sulla trincea no Tap - era tornata ancora una volta sull'argomento, stavolta con toni nuovamente trancianti (dopo qualche ammissione sulla presenza di «vincoli internazionali» difficilmente superabili): il gasdotto «non è un genere di investimento che serve né al Salento né alla Puglia né all'intera Italia». Affermazioni nella sostanza smentite poi da Conte e dal crisma della «strategicità» assegnato al Tap.
Di certo sulla bilancia di palazzo Chigi pesano, oltre agli impegni internazionali (cristallizzati tra le altre cose nell'accordo intergovernativo sottoscritto con Albania e Grecia), anche gli eventuali costi che un addio all'opera comporterebbe: da 20 a 70 miliardi, frutto dell'azione risarcitoria degli investitori, dei maggiori costi, della mancata fiscalità. Il fulcro del dibattito si sposta ora su un punto: il governo come gestirà la partita? Sembra di capire che lo stop al gasdotto sia ormai da escludere, o sarebbe quantomeno anomalo dopo aver definito il Tap «strategico». Bisognerà allora maneggiare la rivolta delle comunità locali, e per questo il premier vuol incontrarle «con i ministri competenti». Intanto, anche ieri c'era stato (oltre a Lezzi, ma di segno opposto) un altro tassello nel diseguale mosaico delle dichiarazioni di governo: «Equivoci e non detti sono il 98% delle cause dei conflitti. Al primo posto ci deve essere l'interesse generale del Paese, che non può essere tagliato fuori dallo sviluppo del continente», aveva detto il sottosegretario leghista alle Infrastrutture Armando Siri. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia