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Le concessioni demaniali scadranno, tutte, il 31 dicembre prossimo. Il conto alla rovescia per quella che, nel panorama italiano e pugliese, si annuncia come una vera e propria rivoluzione copernicana resta immutato. Perché venuto meno un pilastro, ne resta in piedi un altro a sorreggere l'architettura di direttive, sentenze e leggi in tema di concessioni balneari. Se infatti la Cassazione ha annullato il verdetto del Consiglio di Stato sul caso Lecce stabilendo per la prima volta che le concessioni vanno assegnate con pubblica gara resta passata in giudicato, perché mai impugnata, la sentenza gemella dell'Adunanza plenaria pubblicata a novembre 2021 e relativa a un contenzioso incardinato al Tar di Catania. Sentenza sulla quale è arrivata poi, a sigillo, anche la pronuncia del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana. Identica materia del contendere il rinnovo di una concessione demaniale al 2033, come prevedeva una legge statale poi abrogata -, stesso collegio giudicante, una sola differenza rispetto al caso Lecce: il ministero delle Infrastrutture era controparte, perché era stato il Governo, in quel caso, ad avvisare che la concessione in scadenza non avrebbe potuto essere rinnovata automaticamente, senza le gare, come invece chiedeva la Comet srl all'Autorità di Sistema portuale dello Stretto in Sicilia.
Il Consiglio di Stato
Cosa scrive il Consiglio di Stato? Primo punto: «Le concessioni demaniali già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023, fermo restando che, oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire». Su questo punto l'Europa, pochi giorni fa, ha dato al Governo italiano due mesi di tempo, cioè fino a metà gennaio 2024, per predisporre le gare. Viceversa la procedura d'infrazione sarà portata fino a conclusione, con una multa milionaria che dovranno pagare i cittadini.
Secondo punto: «Il diritto dell'Unione impone che il rilascio o il rinnovo delle concessioni demaniali marittime (o lacuali o fluviali) avvenga all'esito di una procedura di evidenza pubblica».
La tutela della concorrenza
Del resto - e siamo al terzo punto - la tutela della concorrenza è una "materia" trasversale: quando si concede il diritto a sfruttare economicamente risorse pubbliche limitate, «gli Stati membri sono tenuti all'obbligo della gara». Altrimenti, lo stesso ragionamento andrebbe applicato anche in altre materie «come la sanità pubblica, l'istruzione, la protezione civile, che sono tutti settori rispetto ai quali i contratti pubblici sono sottoposti all'obbligo di gara».Quarto punto. Non vale nemmeno dire - come ha fatto la maggioranza al Governo - che la risorsa demaniale non è scarsa e, dunque, non va sottoposta alla concorrenza del mercato. «Il concetto di scarsità va, invero, interpretato in termini relativi e non assoluti, tenendo conto non solo della "quantità" del bene disponibile, ma anche dei suoi aspetti qualitativi» scrive il Consiglio di Stato. Da questo punto di vista specificano i giudici - «i dati forniti dal sistema informativo del demanio marittimo del Ministero delle Infrastrutture rivelano che in Italia quasi il 50% delle coste sabbiose è occupato da stabilimenti balneari, con picchi che in alcune Regioni (come Liguria, Emilia-Romagna e Campania) arrivano quasi al 70%». Percentuali scese poi, in due anni e miracolosamente, fino al 33% al termine della mappatura effettuata a Palazzo Chigi e duramente contestata dall'Europa.
Le certezze giuridiche, insomma, ci sono. Ciò che manca, oggi, è una presa di posizione del Governo, pronto - ha detto la premier giorni fa - «ad aprire una nuova negoziazione con la Commissione Ue». Sperando di riuscire a impedire l'infrazione, che farebbe l'effetto di un macigno sulle già fragili casse dello Stato. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia