Sono reduce dalla bellissima esperienza dello Iamcp Emea 2019 di Madrid, un evento in cui i partner Microsoft internazionali hanno messo a fuoco le ultime novità sulla...
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La prima è di carattere pratico ed è la conferma di una magnifica opportunità che il mondo del lavoro, anche in Italia, ha di fronte a sé. Le aziende, i lavoratori, l’intero sistema economico italiano e del Sud in particolare, possono sfruttare una promettente e quasi insperata “piega” del mercato degli ultimissimi anni. Complice la portata enorme e trasversale dell’innovazione (una novità rivoluzionaria è da considerarsi proprio l’Intelligenza Artificiale), oggi il sistema ha un fabbisogno esagerato di profili professionali in ambito informatico e in tutto ciò che è legato a questo. Se fino a ieri pensavamo di poter soddisfare questo fabbisogno attingendo alla platea fisiologica dei lavoratori più giovani, magari al loro primo ingresso sul mercato del lavoro, oggi abbiamo maturato la consapevolezza che quella platea non basta più. La novità, allora, è il bisogno - anzi, l’urgenza - di attingere altrove, cioè alla non trascurabile sfera dei lavoratori più “anziani”, molti dei quali fanno fatica a trovare adeguati spazi occasionali. È chiaro però che c’è bisogno di una riqualificazione degli stessi, anzi di un vero e proprio processo di riconversione a nuove mansioni e nuove professioni, in linea con la domanda che l’innovazione sta imponendo dappertutto in maniera prepotente. Da presidente di Iamcp Italia e soprattutto da imprenditore del Salento, colgo un’occasione fantastica davanti a tutti noi. Non solo dal punto di vista aziendale, per il futuro o per i tanti possibili “futuri” che ogni imprenditore può scegliersi, ma anche dal punto di vista squisitamente occupazionale, visto che si è aperto uno scenario estremamente positivo per chi, con un approccio dinamico, decide di cambiare rotta e adeguarsi a quello che il mercato del lavoro chiede oggi. Anche perché la scelta tra restare a casa e reinventarsi per lavorare è molto semplice.
La seconda riflessione è meno pratica e riguarda il legame tra innovazione e ricerca, oltre che il “profitto” che questo legame può generare. È evidente che c’è innovazione perché c’è ricerca, ci sono traguardi (nel senso di scoperte, di novità, di invenzioni pure) che poi diventano semplicemente tappe intermedie perché c’è chi si prende l’onere di scoprire qualcosa di “altro” e di “nuovo”, persino in ambiti noti. Fare ricerca è un atto di coraggio, perché implica l’accettazione consapevole di quel significativo margine di incertezza sugli esiti. Infatti, ci sono tante ricerche che non portano ai risultati sperati, ma c’è anche la ricerca che ogni tanto approda a qualcosa di nuovo, a uno scenario innovativo (e migliore!) rispetto a quello di partenza e quasi sempre dirompente negli effetti. Basti pensare a Michela D’Antò e Federica Caracò, due giovani ingegneri di Napoli, che hanno progettato un algoritmo che permetterà alle macchine di fare la Tac esponendo i pazienti alla metà delle radiazioni consuete. In un campo dove magari pensavamo di aver fatto il massimo e di aver portato l’innovazione all’estremo limite, ecco che il massimo e l’estremo limite diventano altri. E il merito è di chi, appunto, si è assunto l’onere di portare avanti una ricerca per sua definizione incerta e dagli approdi tutt’altro che scontati. Una vicenda che è un paradigma di riferimento per l’epoca in cui viviamo. L’innovazione è un risultato concreto, ma è anche un concetto: non serve accontentarsi, ma serve sempre guardare avanti, per esempio investendo in ricerca per migliorare.
* Presidente Iamcp
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Quotidiano Di Puglia