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Tre annotazioni intorno a un'operazione antimafia – l'ultimo scossone lunedì a Bari – su cui ci sarà ancora molto da ragionare e riflettere, pur nella presunzione di innocenza dovuta a tutti gli indagati, in questa come in altre inchieste, fino a pronuncia definitiva. Le accuse, pesanti e imbarazzanti per la qualità dei personaggi coinvolti e per la tipologia di contestazioni mosse a ciascuno – su tutte, l'intreccio tra politica, criminalità organizzata e impresa – valgono per quel che sono: ipotesi da sottoporre alla verifica in aula. Premessa non scontata: ieri a Lecce è stato assolto in primo grado un ex assessore comunale sette anni dopo aver subito una misura cautelare alla vigilia di un'importante tornata elettorale. Ora le annotazioni.
La prima. I ripetuti allarmi, rilanciati a ogni inaugurazione di anno giudiziario, l'ultima volta pochi giorni fa, quasi in sincrono dai procuratori generali Antonio Maruccia a Lecce e Leonardo Leone de Castris a Bari, non sono la reiterazione di maniera di concetti astratti di un'antimafia in vena di facili preoccupazioni. Il pericolo di condizionamento mafioso del voto e quello "gemello" di infiltrazione dei clan nei circuiti legali dell'economia (viaggiano in coppia: politica e affari si tengono nel gioco di sponda delle intese indicibili e scellerate) rappresentano una costante con cui dover fare i conti. E chissà per quanto tempo ancora. Vi è un dato di fatto: in Puglia è presente e opera l'associazione criminale, variamente strutturata nelle diverse province e comunque radicata sui territori, al di là della tangibile opera di contenimento di magistratura e forze dell'ordine. E questo costituisce di per sé una notevole insidia. Le operazioni antimafia lo testimoniano, come quella appena compiuta a Bari, appunto: evidenziano i rischi, propongono un argine in attesa di riscontro dibattimentale. Il quadro è questo, tra luci e ombre. Ottimisti o pessimisti? Gli elementi non mancano.
Seconda annotazione: la battaglia in corso. Come spiega il procuratore barese, Roberto Rossi, l'operazione è significativa per la vita democratica di un paese: che è libero se i cittadini possono esprimersi liberamente. L'inchiesta, fatte salve le cautele di cui all'inizio, indica un inquinamento elettorale circoscritto (e, appunto, tutto da verificare). Ma il clan di riferimento – spiega il magistrato dell'accusa – sarebbe mosso da «una sorta di vocazione universalista ad occupare qualsiasi spazio della vita economica e sociale». Per il capo della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo, Francesco Giannella, sarebbe addirittura un caso di scuola: «Forse andrebbe studiato.
Terza annotazione: la selezione della classe dirigente. A partire dalla politica: in larga parte orfana dei partiti, ha rinunciato ormai da tempo – alla radice – a un'attenta opera di filtro e vaglio, oltre a quella – parimenti importante – di formazione e prossimità. Vero: il passato ha offerto larga dimostrazione di come anche gli schieramenti partitici più strutturati, selettivi e rigorosi non abbiano potuto impedire (o non siano stati capaci di farlo o, in definitiva, non abbiano voluto farlo) derive e degenerazioni in nome di altri interessi, comunque riconducibili a un consolidato e diffuso schema di potere. Ma un sistema che rinuncia alla costruzione dal basso delle future leve e del consenso popolare, scegliendo di moltiplicare le preferenze lungo la scorciatoia dei collettori di voto, a livello locale non di rado attraverso il profluvio di liste in cui si può annidare di tutto, crea un varco che mina la solidità di una democrazia: il sistema, in sostanza, dimentica le persone. Non le ascolta, non ne percepisce gli umori, non ne capisce i bisogni. E, così facendo, le espone alle lusinghe e alle facili promesse. Che è poi la strategia in cui una criminalità moderna, dismesse ormai da tempo (ma non abbandonate del tutto) coppola e lupara, si specializza sempre più: il consenso sociale, complici il politico corrotto o l'imprenditore colluso.
Scenario apocalittico, senza dubbio. Società, politica e impresa godono di buona salute, potendo contare – secondo un'immagine consunta – su una sana e robusta costituzione. Ma, portato all'eccesso, il ragionamento schematizza gli elementi essenziali, che diventano esiziali soprattutto in momenti di crisi e in territori con profili problematici notevoli, qual è la Puglia. I campanelli d'allarme non possono essere sottovalutati. Ma neppure può essere ricondotto tutto alla contrapposizione criminalità-forze dell'ordine o all'immancabile diatriba maggioranza-opposizione. La pervasività mafiosa è fenomeno sociale. Nessuno, vale la pena ripeterlo, può sentirsi escluso. L'etica paga dazio alla convenienza. La mitica zona grigia siamo noi quando scendiamo a patti, chiediamo favori (un tempo al politico, ora al boss: molto più efficiente) e compiamo scelte al ribasso, di comodo, senza scrupoli. E perciò inconfessabili.
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Quotidiano Di Puglia