Più stringe il tempo della nuova legge elettorale, più diventa evidente quanto distino le strategie dei diversi partiti. E quanto siano intricati i giochi delle...
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Berlusconi, che è stato in passato – quando era forte e governava - l’alfiere del maggioritario più oltranzista, oggi si professa un indefesso difensore del proporzionale. La ragione è fin troppo banale: non vuole allearsi con la Lega. Un patto cui sarebbe costretto se dovessero tornare in vita i tanto – da lui – vituperati collegi uninominali. Quello cui punta il Cavaliere è cercare di raggranellare quanti più voti di centrodestra possibile in una battaglia solitaria. Per poterli poi portare in dote a un governo del Nazareno bis, in piena autonomia dagli alleati – piccoli e grandi – del suo campo politico.
Renzi, invece, avrebbe – almeno sulla carta – tutto l’interesse a provare a ricostruire delle alleanze a sinistra. Non però al centro, al tavolo delle segreterie, come piacerebbe agli scissionisti e a Pisapia, ricostruendo qualche sigla posticcia cui dovrebbe andare il ricco bonus di un premio di maggioranza. In questi accordi di facciata, buoni a procacciare dal vertice qualche seggio parlamentare in più ai fedelissimi della nomenclatura, Renzi non ha mai creduto. Quello che oggi il Pd propone – il cosiddetto rosatellum – è diverso. È un’alleanza sul territorio, nella scelta dei candidati nei collegi uninominali. L’unico modo per fare convivere diverse anime del centrosinistra – e, in qualche caso, anche del centro – in un confronto e un legame diretto con l’elettorato. Consapevoli che i tempi sono cambiati – ahi, quanto sono cambiati! – rispetto al clima referendario da cui nacque, un quarto di secolo fa, il mattarellum, i renziani hanno abbassato le pretese. Limiterebbero l’uninominale alla metà dei seggi in palio, lasciando il resto alla spartizione proporzionale tra piccoli e grandi partiti.
L’obiettivo prioritario di una legge di questo tipo è mettere nell’angolo i grillini, che, infatti, si sono subito ribellati. Il punto debole dei cinquestelle, al momento, è un personale politico capace di contrastare dal vivo, nel faccia a faccia con i votanti, l’esperienza dei candidati di partiti meno centralizzati e teleguidati. Il Pd, col rosatellum, prenderebbe due piccioni con una fava. Creerebbe le condizioni per varare, dove ci fossero le persone giuste, candidature multipartisan. E creerebbe ai cinquestelle serissime difficoltà.
Ovviamente, per le stesse ragioni, gli altri partiti non hanno alcuna intenzione di spianare la strada a questa legge. Renzi potrebbe provare a forzare la mano. Alla Camera ce la potrebbe fare, al Senato chissà, forse. Ma gli conviene, dopo l’esperienza disastrosa del referendum in cui – volente o nolente – si è attirato gli strali di tutti, mettersi un’altra volta in un’impresa in cui sarebbe a dir poco sovraesposto? Senza contare il clima d’opinione alimentato dalla grande stampa, che gli resta sostanzialmente ostile anche dopo la rivincita delle primarie. Contando invece – pesantemente – che con il rosatellum Renzi si metterebbe contro Berlusconi, il solo partner con cui può sperare, dopo il voto, di provare a tessere una qualche maggioranza di governo. Certo, se la nuova legge passasse, si tornerebbe, per la prima volta dopo vent’anni, a far politica sul territorio. E, se a Renzi riuscisse il botto di vincere in molti collegi, potrebbe riprendersi lo scettro che gli è stato violentemente strappato. Due anni fa, non ci sarebbe stato dubbio che il segretario Pd avrebbe osato. Oggi, ci sta pensando sopra. E non è facile consigliarlo.
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Quotidiano Di Puglia