Riceviamo tutti l’impressione di una grande difficoltà a disegnare il futuro politico dell’Italia, e non pochi vedono una situazione di pericoloso stallo. Si...
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La difficoltà a decifrare il futuro politico d’Italia occulta e svaluta pure le buone notizie che, pur relative e provvisorie, giungono dal campo dell’economia produttiva, e per qualche flessione nella disoccupazione. Se l’orizzonte politico è oscuro, anche il senso di queste notizie infine decade, si disperde nel vuoto, e l’orizzonte è oscuro, su questo in molti concordano. Il bello è che si continua a ragionare come se fossimo separati dal mondo, una vecchia potenza sovrana che non deve dar conto a nessuno di ciò che fa e che decide, con lo sguardo tutto chiuso dentro il proprio recinto. Come se fossero del tutto scomparse dalla scena quelle culture politiche (e le forze corrispondenti) consapevoli che tutto dipende da tutti, che non c’è più recinto nazionale che tenga, e che perciò, nel tragico caos che attraversa il mondo, i lussi dell’introversione non sono più concessi. Un’impressionante caduta di livello del dibattito pubblico, trasmissioni politiche inguardabili, mentre fuori infuria il disordine e pur, da qualche parte, si avviano tentativi di apprestare ad esso qualche risposta.
Qui non la posso far lunga, ma diamo per scontato il caos mondiale, non vi è bisogno di una particolareggiata descrizione. L’ultimo grido viene dall’America di Trump che procede a passi accelerati nel dichiarare la crisi politica della globalizzazione, processo globale che l’America ha prodotto e che ora sembra rigettare, costi quel che costi: più coerenza politica in Trump di quanto si immaginava, e bisognerà tenerne conto! Ma l’attenzione nostra deve andare decisamente a quanto sta avvenendo in Europa, che è l’orizzonte di riferimento dei nostri problemi. E i problemi incalzano con una serietà senza pari. Che farà l’Inghilterra di fronte a una America così? Non sta svanendo il sogno di Theresa May di un nuovo asse globale anglo-americano? E come inciderà tutto questo sull’Europa e sulla definizione di Brexit?
Intanto nel continente-Europa si disegna qualche elemento di stabilità per far fronte al caos. La presenza di Macron e della Francia si fa già sentire non però nella direzione, come qualche sprovveduto immaginava, di una demagogia antieuropeista, ma in quella di un consolidamento dell’asse franco-tedesco con la possibile speranza che la Francia riesca (e voglia) spingere verso una nuova attenzione per il Mediterraneo che però non ripeta l’impresa libica. In un quadro, è già chiaro, di stabilità che non promette affatto facili sconti. I problemi sono tutti sul tappeto, aggravati dalla crisi geopolitica generale che non dà più punti di riferimento certi. Ma se c’è da individuare una flebile e non consolidata direzione delle cose, nel continente-Europa, sembra che l’ondata populista sia in frenata e la Francia è stata decisiva, dopo Olanda Austria e prima, sicuramente, di Germania.
E l’Italia? Sembra lontana da questi scenari, si fa i fatti suoi. Non è, la mia, una critica al governo che fa quel che può e spesso anche bene, con civiltà, ma ho il sentimento di una generale disattenzione per i problemi che incalzano. I quali vorrebbero, per il futuro che si apre, leggi elettorali serie, programmi di governo, dibattiti politici veri e non urlati, riconoscimenti reciproci tra le forze in campo nella serietà anche di un irriducibile conflitto politico; e non lotte senza quartiere, disprezzo reciproco, tintinnar di giudici e di procure, candidature politiche di magistrati in carriera, con inverosimili applausi di parte. Ma, poi, vuoti sull’Europa, sull’euro, sul lavoro (fuori da mitologie distruttive avanzate dai nostri populisti) sul “che fare”, insomma, che mai come ora implica una politica colta, nel senso che voglio indicare così: una politica che chiede visione strategica generale insieme a una straordinaria capacità e competenza per entrar nel merito degli aggrovigliati problemi che si delineano anche proprio nella nostra Europa. Per cambiar la quale, come pure è necessario, non bastano avvertimenti e scomuniche, ma ci vogliono alleanze, serietà di proposta e competenza, con uno sguardo alla propria nazione e l’altro al di là di essa.
Vogliamo restar fuori dal consolidamento dell’asse franco-tedesco che si rimette in moto? Dunque, votare al più presto per provare a star dentro il nuovo processo (ma con quali idee)? O votare alla scadenza di legislatura dopo una vera campagna elettorale che faccia penetrare nell’opinione pubblica la serietà dei temi e la gravità delle scelte? Come un nuovo 18 aprile 1948? Ma al di là dei tempi, che pur contano, permane la sensazione di un vuoto di idee che bisogna velocemente riempire. Saranno i nostri eroi capaci di tanto? Si sappia che l’Italia è diventata l’anello debole dell’Europa, che nei diversi strati di realtà che la compongono bisogna far emergere quel che di buono e di grande in essa pur c’è, ma che ha bisogno di classi dirigenti serie, intelligenti e ben scelte. È possibile sperare anzitutto in questo? Chiudo con domande senza risposte, come ho iniziato. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia