Su una cosa sono tutti d’accordo. Che questa – pessima – campagna elettorale finalmente finisca, e si aprano le danze. Quelle vere. Non lo spettacolo sguaiato...
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E figuriamoci cosa accadrebbe se davvero – come ancora continuano a sperare i transfughi ex Pd – i voti di Leu si potessero sommare a quelli dei cinquestelle producendo una maggioranza in Parlamento. Nel giro di poche settimane, scoppierebbero i fuochi d’artificio.
No. L’idea che da questi partiti – duri e puri – possa nascere una stabile intesa non tiene conto della realtà. La realtà che sono ormai – tutti – partiti in libera uscita. Tenuti insieme soltanto da un capo, privo dell’aura del grande leader. E che sta – abbastanza – saldamente in sella solo finché verrà consumato il rito della campagna elettorale. Poi il bastoncino del comando passerà ai singoli parlamentari. Tutti con un solo obiettivo: non mollare il seggio conquistato. È questa l’unica certezza che abbiamo. E su questa certezza occorrerà costruire le varie ipotesi di governabilità. Mettersi adesso a disegnare ipotesi sui cambi di casacca, su possibili transumanze o smottamenti, è prematuro. Conviene attendere una settimana, quando al posto della nebbia attuale si piazzerà il pallottoliere. E tutti potremo sbizzarrirci a scommettere su quale sarà la sommatoria che prevarrà. Una sommatoria aritmetica, di basso profilo politico.
La politica che conserverà il suo peso, e lo accrescerà sempre più, sarà quella del Quirinale. Sarà sul colle più alto che verranno tirate – e scombinate – le fila degli esecutivi possibili. All’inizio, rispettando lo stile di understatement del presidente in carica. Poi, inevitabilmente, con un ruolo più incalzante e visibile. Per compensare l’inconsistenza dei partiti con l’autorevolezza della massima carica dello Stato. Per l’Italia, non è una novità. Secondo la celebre definizione di Giuliano Amato, la nostra costituzione assegna al Presidente della repubblica poteri a fisarmonica. Che si allargano e si restringono a seconda della forza degli altri attori politici. Sette anni fa, la crisi del berlusconismo e l’assenza di una valida alternativa a sinistra furono all’origine del ruolo chiave assunto dal Quirinale. Al punto che costituzionalisti e politologi concordarono nel definire l’Italia – di fatto anche se non di diritto - una repubblica semi-presidenziale. Certo, la personalità dei Presidenti è un fattore importante nel produrre – o non produrre – quest’esito. Ma è il caso di ricordare che gli esordi – estremamente cauti e riservati – del settennio di Napolitano non lasciavano certo presagire il protagonismo e il dirigismo con cui, all’esplosione della crisi, avrebbe condotto l’Italia fuori dalla tempesta.
E sarà di nuovo il Quirinale chiamato – costretto – a riempire il vuoto che i partiti hanno riaperto. Un vuoto – drammatico – di leadership. Perché è questa, nel bene e nel male, la bussola delle democrazie contemporanee. Una leadership che riesca a trasmettere, ad elettori sempre più disorientati, una iniezione di credibilità, di fiducia. Quando la politica annaspa nell’adempiere a questa funzione, spetta alle istituzioni più alte assumerne la responsabilità.
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Quotidiano Di Puglia