Non nascondiamoci dietro un dito: la nuova indagine accesa a Firenze a carico di Silvio Berlusconi è una enormità. E il fatto che non sia la prima volta che il...
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Ora, si facciano pure tutti gli accertamenti del caso, ma si sappia bene quello che si sta accertando, e che nel frattempo, accertamento o no, viene dato in pasto all’opinione pubblica: le confidenze di un padrino, già condannato per le stragi, che si prende la libertà di chiacchierare con un altro recluso, durante l’ora d’aria. E in una situazione simile, c’è qualcosa che Graviano non direbbe, dovrebbe riservarsi di non dire, mentre passeggia in carcere? Ovviamente no. E c’è modo di difendersi dalle sue illazioni? Nemmeno. Perché Graviano può dire quel che vuole, e la Procura che gli sta dietro può fare ciò che vuole delle dichiarazioni carpite. Così si riaprono fascicoli che erano già stati archiviati, e, a un anno di distanza dal tempo in cui le intercettazioni sono state effettuate (un anno!), il Cavaliere finisce nuovamente nel registro degli indagati. Gli avvocati intervengono e protestano la totale estraneità di Berlusconi, i giornalisti usano il condizionale e mettono ogni prudenza nel riferire la nuova iniziativa della Procura, ma intanto la parola «Berlusconi» e la parola «mafia» compaiono nella stessa riga, formano un’unica notizia. È da questo che non c’è modo alcuno, per il leader del centrodestra, di difendersi. Un pregiudizio negativo è già disponibile, e la nuova inchiesta non deve far altro che rimetterlo in circolo.
Non vengono portati alla luce fatti nuovi: bastano le parole. Le parole di per sé richiedono un approfondimento. E l’approfondimento di per sé produce i suoi effetti: politici, non processuali. Effetti nello spazio pubblico, non nelle aule giudiziarie.
Il gioco è fatto. Il gioco che si gioca ormai da decenni, e che ruota attorno al nodo irrisolto dell’uso politico della giustizia, di un dibattito intossicato da iniziative della magistratura. Non importa quanto sia credibile questa idea che Berlusconi pianifichi con i capi mafia una strategia politica a suon di bombe, per preparare la sua discesa in campo; è sufficiente che circoli, che per qualcuno valga come una narrazione possibile della storia d’Italia, fatta di manovre oscure, di illecite complicità, di compromessi con i poteri criminali, per gettare discredito, ed erodere consenso.
Non siamo il Paese delle stragi impunite? Cosa costa scrivere un nuovo capitolo, o meglio riscriverlo a seconda delle esigenze del momento?
«Puntualmente, a ridosso di una competizione elettorale, arriva la notizia di una nuova indagine nei confronti di Silvio Berlusconi», ha dichiarato il suo avvocato, Ghedini. Francamente, non riesco a dargli torto. O forse Ghedini un torto ce l’ha: chiama nuova indagine il rimestare vecchie storie, mai comprovate da fatti, ma sempre riproposte attraverso libere parole di personaggi di cui non è impossibile pensare che siano manovrati, o che semplicemente sappiano loro stessi manovrare. Ha le prove, Ghedini, per affermare quanto afferma? Non le ha, e come potrebbe averle, del resto? Le avrà quando ci sarà la futura archiviazione. Ma il giustizialista con la bava alla bocca può dire, fino a quella data: e come si può sapere che anche questa volta finirà con l’archiviazione? La distorsione sta così in ciò, che le prove si richiedono a Ghedini, a Berlusconi, non certo all’accusa. Perché qui un’accusa non occorre nemmeno formularla: basta che la vicenda stia sui giornali, e che dell’avvocato difensore si possa dire che fa il suo mestiere, cosa volete che faccia? Intanto, però, al telegiornale passano le immagini del capomafia in carcere, e i telespettatori leggono «Berlusca» sotto quelle immagini: cosa si vuole di più?
Si vorrebbe una campagna elettorale non inquinate da simili exploit, un Paese che non costruisca il proprio spazio pubblico con i fogli delle Procure, una magistratura meno disponibile a così smaccate invasioni di campo, un’Italia in cui non siano i boss della mafia ad avere una incredibile centralità politica. Si vorrebbero infine dichiarazioni non di avvocati e compagni di partito, ma di avversari politici, che facciano capire come queste narrazioni hanno stancato e nessuno gli va più dietro.
Ma sappiamo già che non è così, che ci attendono paginate di ricostruzioni più o meno fantasiose, e magistrati pronti a scendere in campo, a mettere a disposizione le loro competenze, e cioè il loro spirito inquisitorio, per raccontare ancora una volta chi sono i buoni e chi sono i cattivi. Povera Italia.
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Quotidiano Di Puglia