Fu un atto di guerra, ci scoprimmo vulnerabili

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Eccola la prima pagina di quell’11 settembre 2001: “Atto di guerra”, il titolo corpo 58, il più grande possibile. E sotto, scolpito dentro la foto dei grattacieli di Manhattan avvolto dal fumo e dalla cenere, divenuta un’icona del terrore, “Apocalisse a New York, migliaia di morti”. 


Costruire il quotidiano in edicola il 12 settembre 2001 ha significato, per chi ha partecipato alla costruzione di quelle pagine che possono considerarsi un’opera in diretta sulla vita e sulla morte, scoprire da un attimo all’altro la sconvolgente vulnerabilità di ciò che si considerava invincibile. Era un atto di guerra, e non un semplice “attacco terroristico” come molti quotidiani quasi in fotocopia definirono l’accaduto, prudentemente in bilico tra l’immagine della immane tragedia e le sue cause. Tra le tante lezioni che l’11 settembre ci ha imposto di apprendere e di utilizzare per proteggerci al meglio resta in primo piano il senso ancestrale di vulnerabilità di fronte a rischi giganteschi, apocalittici e dunque l’impegno a immaginare ed aggiornare la rete delle protezioni. L’atto di guerra è stato possibile perché si è lasciato che il nemico trovasse le vene per inoculare il suo veleno mortale. E dire che lo avevano visto in faccia, lo avevano perfino riconosciuto. E così, adesso, siamo qui a scrivere due date: New York 11 settembre 2001- Kabul 11 settembre 2021. 

 

 

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Quotidiano Di Puglia