Gentile direttore, anche nel Salento qualcosa si comincia muovere sul piano del rinnovamento del ceto politico, e non solo per l'irrompere sulla scena anche da queste parti...
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Caro lettore, è verissimo, fino a qualche anno fa sarebbe stato impensabile avere dei sindaci a Gallipoli e a Nardò appena trentenni. La rottura generazionale all'interno del Pd, all'indomani delle pesanti battute d'arresto e dei pasticci della vecchia classe dirigente nel post-elezioni del 2013, e l'avvento del M5S come domanda di profondo e generalizzato rinnovamento, hanno segnato l'esplosione di un “tappo” che per troppo tempo ha tenuto sotto controllo l'ascensore del ceto politico. Fino a quella rottura, la selezione della classe dirigente, dai piccoli comuni ai livelli centrali, è stato incentrato sul sistema della cooptazione per tappe progressive e con tempi di maturazione molto più lunghi. Intendiamoci, però. Non è che il nuovismo e il giovanilismo siano di per sé una garanzia di freschezza e di rinnovamento reale nel governo delle istituzioni. Così come non trovo per niente convincente chi afferma che solo con l'età avanzata e con una lunga serie di esperienze alle spalle si possa arrivare ad esercitare il potere con maggiore saggezza e maggiori capacità. La carta d'identità non è mai stata, e mai sarà, la principale discriminante del buon governante. Fondamentali e determinanti restano, piuttosto, le idee, la capacità di leadership, le intuizioni progettuali e le visioni. E queste le puoi avere a 30 anni come a 70. Purtroppo, in Italia siamo da sempre affascinati dall'oscillazione del pendolo. E siamo propensi a passare da un eccesso all'altro: prima tutti i politici di rango “dovevano” superare almeno i 50 anni, con la facoltà di continuare a scalare fino e oltre gli 80 anni; oggi se un politico supera i 45-50 anni è già considerato vecchio. Sbagliato. Così come sbagliato è illudersi (e illudere) che il rinnovamento delle istituzioni e il buon governo passi soprattutto per la (esasperata) trasparenza sugli scontrini, sulle buste paga, sul numero degli assessorati, sul taglio delle linee telefoniche, sulla “deprofessionalizzazione” della politica. Fumo negli occhi. E respiro cortissimo. Ce ne accorgeremo abbastanza presto. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia