Si chiama Demetra e ha 935 anni: è l'albero più antico del mondo. Parola dell'Università del Salento. Fisici salentini datano, con il radiocarbonio,...
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Sorpresa nelle campagne: l'ulivo è un pensatore
Grazie alla datazione al radiocarbonio, cinque grandi roveri del Parco Nazionale dell'Aspromonte hanno rivelato età plurisecolari: dai 570 ai 935 anni. Da molto tempo le maestose querce sono considerate un simbolo di longevità, ma studi scientifici in grado di determinarne con precisione le età sono stati raramente condotti in Europa. Lo studio del Cedad di Unisalento è stato pubblicato sulla rivista Ecology, edita dalla società Americana di Ecologia, ed è un importante lavoro di ricerca portato avanti in collaborazione con il laboratorio di Dendrocronologia dell'Università della Tuscia, il Parco Nazionale dell'Aspromonte e l'Università di Madrid.
«Questo tipo di ricerca è complicata - spiega Gianluca Quarta, professore di Fisica Applicata al Cedad, tra i fisici di Unisalento autori della scoperta - perché questi antichi alberi si trovano su ripidi pendii rocciosi di alta montagna, difficili da raggiungere, meno accessibili all'uomo e ai vari influssi dell'inquinamento e di un territorio antropizzato. Sono esemplari molto vecchi e spesso sono cavi nella parte interna del fusto a causa di secoli di esposizione alle intemperie, ad organismi nocivi e patogeni naturali. Gli anelli più antichi, pertanto, sono spesso mancanti o gravemente degradati, rendendo molto difficile l'identificazione e la raccolta degli anelli più vicini al midollo utili per la datazione. La validazione scientifica per la prestigiosa rivista Ecology è durata circa un anno, essere stati inseriti è un traguardo importante».
Il Cedad di Unisalento, guidato dal professor Luciano Calcagnile, ha già datato altri alberi, un progetto nato dalla necessità di realizzare un archivio delle foreste antiche della penisola italiana. «La datazione degli alberi è fondamentale perché queste piante raccontano la nostra storia - spiega Quarta -. Al loro interno sono celati diversi indici come quello della piovosità di un determinato periodo o delle trasformazioni del clima nel corso degli anni». Dal punto di vista ecologico queste latifoglie crescono più lentamente e forse per questo sono più resilienti. Racchiudono informazioni su dove e come è cresciuto un albero, se ha vissuto tempeste solari, se ha subito incendi e quanta anidride carbonica ha immagazzinato.
«Si potrebbe pensare di utilizzare questo metodo per gli alberi monumentali del Salento e cercare di scoprire di più sulla nostra storia e sul nostro territorio», conclude Quarta. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia