Punge, graffia e demolisce il castello di progetti che Province, Comuni e Università vanno costruendo per candidare il Grande Salento a diventare patrimonio mondiale...
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Professore Sgarbi, l’idea di candidare questa fetta di Puglia a patrimonio Unesco non le piace. Perché?
«Ma perché dovreste cercare di sottrarvi alla infetta influenza di questo organo inutile. Lecce e il Salento meritano di certo di essere patrimonio Unesco, tanto vale non chiederlo. Anche perché non ne verrebbe comunque nulla di buono: non farebbe aumentare il turismo, né arriverebbero soldi».
Secondo i promotori, il riconoscimento sarebbe un ottimo trampolino di lancio per il turismo e per il recupero del patrimonio artistico e culturale del territorio.
«Ma è l’Unesco che dovrebbe fregiarsi di indicarvi a proprio vantaggio, voi non ne avreste alcuno. Non si viene da quelle parti perché c’è il marchio dell’Unesco, per lo stesso motivo per cui non si va di certo a Ferrara o a Mantova perché lo ha suggerito l’Unesco. Già quella dei Borghi d’Italia è una formula più divertente di promozione territoriale, ma l’Unesco è un ente inutile e dannoso, un buon club, come il Rotary o il Lions. Uno può essere un bravo avvocato e diventare membro del Rotary, ma sarebbe comunque un buon avvocato anche senza far parte di quella associazione. Alla fine a chi interessa se un bel posto è o non è patrimonio Unesco? L’effetto “pubblicitario” servirebbe a qualcosa per un luogo remoto, ma Lecce, per esempio, non ne ha bisogno».
Insomma trova non ci sia nemmeno il più piccolo vantaggio a intraprendere questa iniziativa? «Penso che se non riusciste nell’impresa, non dovreste scaldarvi troppo. Che sarebbe peggio per loro, non per voi. Tutta l’Italia dovrebbe essere patrimonio dell’Unesco e non lo è».
E allora perché Comuni e Province si affannano a rincorrere questa “medaglia al valore”?
«Perché l’unico, vero problema dei luoghi piccoli e meridionali è la rivendicazione di un’autonomia rispetto al potere centrale. Un potere sovraordinato, “superiore”, a tutela della bellezza e dell’arte, c’è già ed è la Soprintendenza, ma le amministrazioni locali spesso vivono le sue indicazioni come vessatorie e cercano di agire contro la Soprintendenza. Gli esempi sono centinaia. L’Unesco, invece, è un potere pre-ordinato rispetto allo Stato, ma molto, molto lontano e quindi va bene. Crea la giusta soggezione sui poteri locali, ma alla giusta distanza». Scusi, ma sta dicendo che questa sfida è un po’ figlia del provincialismo?
«Un po’, certo. Perché è singolare che l’unico potere a essere riconosciuto in favore della tutela della bellezza sia un potere indifferente e lontano. Poi certo, c’è anche un aspetto positivo, se proprio vogliamo trovarne uno, del diventare patrimonio Unesco».
E “se proprio vogliamo”, quale sarebbe?
«Dal punto di vista utilitaristico può servire a impedire speculazioni, brutture, schifezze e derive locali o mafiose nella gestione del patrimonio artistico, che sono pericolosissime. All’Unesco si riconosce autorevolezza morale, pur essendo i suoi riconoscimenti illusionistici, perché nei fatti non migliorano proprio nulla. Da questo punto di vista l’Unesco servirebbe a Taranto, ma non a Lecce che ha capito che la chiave del suo successo è la bellezza. Nel suo caso ottenere il riconoscimento sarebbe pleonastico. Se le rifiutano il titolo, ne vada orgogliosa».
Come spenderebbe il denaro che verrà usato per preparare la candidatura?
«Se fossi io a decidere, non spenderei un euro per l’Unesco, che è fatta di burocrati inutili e boriosi. Un carrozzone. Sarebbe come foraggiare una casta che sopravvive con uffici costosissimi. Quel denaro potrebbe essere meglio utilizzato per la manutenzione dei monumenti. E poi fate dei cartelli, scrivete d’essere già patrimonio Unesco, appropriatevi del marchio senza dirlo. Lecce e la Puglia sono già patrimonio dell’umanità». Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia