Salento, tentato infanticidio: mamma condannata a 4 anni e 4 mesi per aver cercato di uccidere la figlia neonata

La giovane di Martano ritenuta responsabile, dopo aver partorito di nascosto dal compagno e dalla famiglia, nel luglio del 2021, di aver ferito con le forbici la neonata

Salento, tentato infanticidio: mamma condannata a più di 4 anni per aver cercato di uccidere la figlia neonata
Condannata a 4 anni e 4 mesi di reclusione la giovane mamma di Martano ritenuta responsabile, dopo aver partorito di nascosto dal compagno e dalla famiglia, nel luglio del 2021,...

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Condannata a 4 anni e 4 mesi di reclusione la giovane mamma di Martano ritenuta responsabile, dopo aver partorito di nascosto dal compagno e dalla famiglia, nel luglio del 2021, di aver ferito con le forbici la neonata. La sentenza in primo grado è stata emessa dal collegio giudicante presieduto dal magistrato Fabrizio Malagnino che ha optato per la riqualificazione del reato a carico della donna, da tentato omicidio aggravato a tentato infanticidio in condizioni di abbandono morale e materiale. Confermato invece l'occultamento di cadavere: dalle indagini era emerso infatti che in precedenza la donna aveva nascosto sotto il letto il cadavere di un altro neonato che portava in grembo.

La 35enne, interdetta dai pubblici uffici per 5 anni, è stata condannata anche al pagamento di una provvisionale di 50mila euro nei confronti della figlia e al pagamento delle spese processuali. Confiscati il coltello e le forbicette finite sotto sequestro. Il pm Alessandro Prontera aveva chiesto 9 anni.

Cosa successe

I fatti finiti a giudizio risalgono al 23 luglio di 2 anni fa. La tragedia fu evitata dall’intervento dell’ex convivente che al mattino seguente sentì dei gemiti in giardino e scoprì il corpo della piccola avvolto in un asciugamano da mare abbandonato. L’allarme lanciato dall’uomo si rivelò fondamentale per salvare la piccola trasportata con urgenza in ospedale dai sanitari del 118.

Dalle ricostruzioni effettuate dagli inquirenti, fu la madre 35enne, a recidere il cordone ombelicale con una forbice, infliggendo poi alla figlia neonata non meno di tre tagli in corrispondenza della carotide con un coltello prelevato da casa procurandole ferite lacero contuse all’altezza del collo: “tre lesioni lineari: una di 1,5 centimetri; una seconda di 4,5 centimetri superficiale; una terza di 5 centimetri più profonda”. E poi abbandonò il corpicino della neonata in giardino. La donna per questi motivi era stata raggiunta da un’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari, (emessa dal gip Alessandra Sermarini, su richiesta del pm Alessandro Prontera che ha coordinato le delicate indagini svolte dai carabinieri). Dalle successive audizioni è emerso inoltre che la vicenda si sarebbe consumata in un contesto di particolare disagio familiare e sociale. Nel dibattito del processo, svolto in camera di consiglio con rito abbreviato condizionato, lo scorso aprile era stato incluso anche il responso della perizia d’ufficio eseguita dal Ctu, Massimo Marra, in cui la 35enne era stata ritenuta “in grado di intendere e di volere” e di “partecipare coscientemente” al processo.

La donna è difesa dagli avvocati Giampaolo Potì e Anna Elisa Prete, che trascorso il termine di 60 giorni per il deposito della motivazione della sentenza, valuteranno se proporre appello.


Il compagno (non indagato) invece è costituito parte civile con l’avvocato Roberto Rella. La bimba, che ora ha quasi 2 anni, sotto la curatela speciale dell’avvocato Daniela De Liguori, è stata affidata ad alcuni familiari su provvedimento d’urgenza del Tribunale per i Minori di Lecce. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia