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«Mio marito rischia di morire in carcere». A scrivere è la moglie di un 44enne salentino, (le cui generalità non si rendono note per ragioni di tutela della privacy), detenuto nella casa circondariale di Salerno in custodia cautelare per reati di mafia. L’oggetto della segnalazione è un problema di salute a cui consegue la richiesta di un trattamento sanitario adeguato. Ovunque, viene specificato anche per fugare ogni sospetto, anche in un’altra struttura penitenziaria.
La lettera
«Premettendo il fatto che credo fermamente nella Giustizia e nella Legge e che se un cittadino sbaglia deve essere rieducato con le misure idonee, rimango sconcertata dal trattamento che un uomo, ancora in attesa di giudizio, è costretto a subire. Un'attesa che durerà diversi mesi ma che, considerate le attuali condizioni di salute di mio marito, rischia di diventare pericolosamente lunga», scrive la donna.
L’uomo fu arrestato nel corso di un blitz antimafia che scaturiva da indagini sul clan Tornese - Politi, attivo tra Monteroni e Carmiano. Fu portato dapprima nel carcere di Taranto, poi a Salerno. A quanto viene riferito, i problemi di salute hanno avuto origine da uno sciopero della fame durato una settimana. La situazione si è poi aggravata: il 44enne ha perso 30 chili, riferiscono i famigliari, e ha difficoltà ad alimentarsi. Sostiene i colloqui con i parenti in videochiamata e quasi sempre è costretto a stare a letto.
Da ciò sono sorte diverse richieste formali, formulate al Tribunale attraverso l’avvocato.
La richiesta di cure
Da qui l’appello, perché il detenuto possa ricevere cure specifiche per la sua situazione: «Chi sbaglia paga - si legge ancora - è giusto e condivisibile ma nel rispetto dei diritti fondamentali di un uomo. Anche quelli sono garantiti dalla Costituzione. Pertanto, chiedo solo a chi di dovere di intervenire prima che sia troppo tardi».
Moglie e figli hanno a disposizione una perizia di parte in cui lo stato di salute del 44enne viene definito «estremamente precario» dal medico legale incaricato. E invocano un intervento tempestivo, non solo a tutela della «dignità» della persona, ma soprattutto delle sue condizioni fisiche. Non una scorciatoia per ottenere benefici, specificano, ma una denuncia che concerne una situazione narrata come un «calvario».
Da qui le richieste di intervento che al momento non sono supportate da perizie super partes che consentano modifiche alla situazione attuale. Le istanze sono state respinte, ma la battaglia prosegue: «Mio padre - spiega il figlio - deve essere condotto in una struttura adatta, dove possa ricevere un trattamento adeguato alla sua situazione. Dove possano alimentarlo, considerato che al momento non riesce a farlo in autonomia. Ha perso molto peso, lo vediamo e sentiamo in seria difficoltà. Non sta bene, bisogna fare qualcosa al più presto, prima che per lui possa essere troppo tardi». Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia