Parabita, le minacce a Cataldo e il no alla candidatura a sindaco: indaga l'Antimafia

Il tribunale di Lecce
Aperto un fascicolo della Procura antimafia sul clima di paura calato a Parabita durante la campagna elettorale. Dopo le intimidazioni, le minacce, i manifesti funebri e le...

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Aperto un fascicolo della Procura antimafia sul clima di paura calato a Parabita durante la campagna elettorale. Dopo le intimidazioni, le minacce, i manifesti funebri e le cartucce da caccia all'indirizzo dei commissari prefettizi Andrea Cantadori, Sebastiano Giangrande e Gerardo Quaranta, nonché del candidato sindaco Marco Cataldo, è stata avviata un'inchiesta dal procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia (Dda). Guglielmo Cataldi ha ravvisato le ipotesi di reato di estorsione e minacce aggravate dal metodo mafioso.

La mafia? Sì. Non fosse altro per i manifesti funebri: hanno caratterizzato in tempi recenti e passati l'impronta della comunicazione della criminalità organizzata salentina. Della Sacra corona unita. Come è accaduto a Leverano nel 2015 per un parente di un affiliato, ritenuto per questo un confidente della Guardia di finanza. O come accadde nel 2007 a Monteroni per l'allora reggente del clan Tornese, Alessandro Martino. E nel 2013 a Lecce all'allora emergente Davide Vadacca.
Dunque, la Dda torna ad occuparsi di Parabita dopo il blitz dell'inchiesta Coltura del 2015 che contestò un connubio fra amministrazione comunale e clan Giannelli. Fu l'inizio della fine della reggenza di allora del sindaco Alfredo Cacciapaglia poiché l'insediamento della commissione di accesso gli atti amministrativi, disposta dal Ministero dell'Interno, si concluse con lo scioglimento del consiglio comunale: fu ravvisato il pericolo di possibili infiltrazioni mafiose. Un aspetto che per la parte della giustizia penale ha riguardato l'ex vicesindaco Giuseppe Provenzano il cui processo di primo grado è ancora in corso.
Sono i commissari prefettizi insediatisi dopo lo scioglimento, quelli al centro delle minacce riportate nella lettera inviata al Comune. Anche questa, una minaccia di morte: «Chi si fa i fatti suoi, campa 100 anni».
Gli stessi toni usati con il candidato sindaco Marco Cataldo, alla testa della lista civica che ha fatto della legalità, del rispetto delle regole e del rifiuto dei metodi mafiosi il suo cavallo di battaglia. E se l'ex consigliere comunale in un primo momento aveva deciso di andare comunque dritto per la sua strada, negli ultimi giorni ha deciso di ritirare la candidatura: «Non avrei avuto la giusta determinatezza ad affrontare una campagna elettorale che avremmo impostato sui temi della legalità e del fare, senza scendere a nessun compromesso».
Il clima è andato appesantendosi giorno dopo giorno. A convincere il candidato a fare marcia indietro sono state anche quelle persone che avrebbero avvicinato per strada i suoi parenti più stretti per consigliargli caldamente che rinunciare sarebbe stata la scelta più gesta. Amici di quelli che fanno della loro filosofia di vita il profilo basso per non esporsi ed andare incontro a problemi. No. Gente poco gradita.

L'inchiesta della Dda vuole per questo individuare chi ci abbia messo volutamente del suo per fare ricadere Parabita nella paura. Come negli anni 90 quando l'agenda la dettava il clan. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia