«I dipendenti presentino subito il certificato penale del casellario giudiziale e il certificato dei carichi pendenti». Esaminati i quali, «l'azienda si...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Una missiva che ha gettato nello scoramento e nella disperazione molti lavoratori, alcuni dei quali hanno affidato al Nuovo Quotidiano di Puglia la loro preoccupazione: «Vorremmo incontrare il prefetto Maria Teresa Cucinotta dice uno di loro, chiedendo che il suo nome resti coperto da anonimato perché sappia che noi siamo i primi a voler combattere contro la criminalità organizzata, che ci toglie il lavoro. Ma aziende come le nostre, nelle quali sono stati assunti tanti ex detenuti sinceramente desiderosi di rimettersi sulla strada giusta, come faranno a giudicare chi delinque ancora e chi no? Abbiamo paura per il nostro futuro».
La missiva inviata da Monteco, Ecotecnica (lievemente diversa nella forma, ma sostanzialmente coincidente nel contenuto) e da altre grandi imprese addette alla raccolta dei rifiuti e al loro smaltimento è conseguenza di numerose, recenti inchieste giudiziarie e delle successive interdittive antimafia emesse dalla prefettura. Interdittive che hanno raggiunto prima la Igeco della famiglia Ricchiuto e poi, pochi giorni fa, la Gial Plast di Taviano. Da tempo la prefettura ha acceso un faro sul settore: per anni i Comuni e la Regione hanno consentito che il servizio di raccolta funzionasse ignorando qualsiasi gara di evidenza pubblica, a suon di proroghe e affidamenti diretti, con continui cambiamenti di assetto fra Ato, Aro, Oga e commissari che tutto avrebbero dovuto cambiare, senza poi modificare nulla nei fatti.
Il ciclo dei rifiuti, nella provincia di Lecce, è ancora aperto e l'immondizia è ancora bene da esportazione: fa guadagnare cifre da capogiro ai pochi titolari di impianti di smaltimento nel Sud Italia. E, in questo quadro, la permeabilità alle infiltrazioni mafiose è tutt'altro che un rischio remoto: lo hanno evidenziato le inchieste di Procura e carabinieri ed è messo nero su bianco nelle relazioni dei prefetti di ieri, Claudio Palomba, e di oggi, Maria Teresa Cucinotta.
Con due interdittive firmate nel giro di pochi mesi e il pugno duro prefettizio, dunque, le più importanti aziende sono corse ai ripari: fuori chi non ha la fedina penale pulita. Perché se da una parte la legge, con le cosiddette clausole sociali, obbliga le imprese incaricate di un simile pubblico servizio ad assorbire i lavoratori addetti a quel servizio, dall'altra è ormai consolidata giurisprudenza l'obbligo per le stesse imprese di controllare i dipendenti e cacciare eventuali lavoratori in odore di mafia. Ciò che rischia di accadere, però, è che a pagare il prezzo più alto siano quei lavoratori che, avendo già scontato la propria pena per reati commessi in passato, si ritrovino oggi sotto scacco, messi all'indice o, peggio, licenziati dall'azienda per la quale lavorano. Verrebbe così vanificata ogni loro possibilità di rifarsi una vita.
In vista dell'annunciato ricorso al Tar per chiedere l'annullamento dell'interdittiva, Gial Plast, per esempio, ha già comunicato che provvederà a licenziare i 30 dipendenti segnalati dalla prefettura, così eliminando alla radice il cardine sul quale il provvedimento è scritto e si regge. Le altre imprese, invece, promettono di esaminare il certificato del Casellario giudiziale e dei carichi pendenti di ciascun lavoratore, in un repulisti generale che rischia di colpire anche chi mafioso non è, ma in passato ha commesso qualche errore e oggi ha pieno diritto di guardare al futuro dalla finestra del riscatto, voltando pagina. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia