Ammazzato a 21 anni perché si ribellò alla criminalità: confermata la condanna a 30 anni

Il ritrovamento del cadavere
Fu Carmine Mazzotta, 48 anni, di Lecce, ad uccidere Gabriele Manca il 17 marzo del 1999. La sentenza della Corte d'Assise d'Appello (presidente Vincenzo Scardia) ha...

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Fu Carmine Mazzotta, 48 anni, di Lecce, ad uccidere Gabriele Manca il 17 marzo del 1999. La sentenza della Corte d'Assise d'Appello (presidente Vincenzo Scardia) ha confermato la condanna a 30 anni inferta all'imputato il 7 ottobre di due anni fa dal giudice per l'udienza preliminare Cinzia Vergine.

 

Il verdetto

 

Nel dispositivo della sentenza letto poco dopo le 14.20 dal presidente Scardia nell'aula bunker, Mazzotta viene inoltre condannato al pagamento delle provvisonali immediatamente esecutive ai due genitori ed ai fratelli e alla sorella del ragazzo di Lizzanello scomparso all'età di 21 anni poiché non si volle piegare alle imposizioni dettate dall'allora gruppo criminale dominante: diecimila euro a testa al padre ed alla madre, 15mila euro per ognuno dei tre fratelli, tutti parti civili con l'avvocato fabrizio D'Errico.

Accolte le istanze del sostituto procuratore generale Salvatore Cosentino, mentre è stata respinta la richiesta di assoluzione dell'avvocato difensore Giancarlo Dei Lazzaretti sostenuta dalla tesi che il dibattimento in aula non avesse fornito riscontro alle indagini condotte dal pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia, Carmen Ruggiero, con i carabinieri del Ros. In particolare sulla credibilità dei collaboratori di giustizia Alessandro Verardi ed Alessandro Saponaro, nonché su quella del ragazzo che raccontò di essere stato minacciato da Mazzotta: «Farai la stessa fine di Gabriele Manca se non tieni la bocca chiusa» .

Tre mesi il termine per depositare il dispositivo della sentenza che conferma nella sostanza la decisione di primo grado.

L'ergastolo è stato invece inflitto in primo grado dalla Corte d'Assise (Mazzotta aveva scelto l'abbrevviato,usufruendo perciò della riduzione della pena) ad Omar e Pierpaolo Marchello, entrambi 42enni di Lizzanello, ed a Giuseppino Mero, 55 anni, di Cavallino.

 

L'inchiesta e i processi

 

I processi e l’inchiesta hanno raccontato di un ragazzo insofferente a sottoporsi alle gerarchie criminali allora dominanti a Lizzanello. Un ragazzo che sbandierava per strada gli atti del processo che lo accusavano di lesioni per il colpo di coltello con cui aveva ferito al volto Omar Marchello, ritenuto un referente della Sacra corona unita. Un gesto che aveva il sapore della sfida e della delegittimazione di Omar Marchello poiché dimostrava che avesse violato una delle regole ferree della criminalità: mai denunciare, i conti si risolvono personalmente. Uno spacciatore di droga che non voleva rispettare il monopolio del clan, Manca, e tantomeno il suo esponente di spicco tant’è che lo picchio a colpi di stecca di biliardo nelle gambe.

Era il 17 marzo del 1999 quando venne attirato in campagna con un escamotage, mentre il padre Giovanni lo attendeva alle 17 per accompagnarlo alla stazione ferroviaria di Lecce: avrebbe preso il treno per Foggia dove stava svolgendo il servizio militare. Le indagini e i processi hanno detto che Mero avrebbe accompagnato Manca in campagna con l’inganno, contando sulla loro amicizia. Ad attenderlo ci sarebbero stati Omar Marchello, Carmine Mazzotta e Pierpaolo Marchello. A sparare sarebbe stato Mazzotta. Alle spalle, nella corsa disperata dalla morte. Quattro colpi.

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Quotidiano Di Puglia