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Architetto Nicolangelo Barletti, entro il 2024 Lecce avrà il suo nuovo Piano urbanistico generale, lo strumento che consentirà di guardare al futuro della città puntando sulle peculiarità e trasformando le criticità in punti di forza. Come descriverebbe il contesto urbano attuale?
«La realtà urbana è in continua mutazione e richiede una presa di coscienza collettiva per riconfigurare la propria memoria storica e adattarla ai tumultuosi cambiamenti e alle crisi come quella prodotta dalla attuale tempesta perfetta, in cui pandemia e crisi economica intrecciano i propri esiti devastanti. Secondo Marc Augé, infatti, lo spazio pubblico è quello in cui si forma l'opinione pubblica, come nella Polis greca, dove vi era coincidenza tra lo spazio materiale dell'Agorà e il luogo di espressione e formazione dell'opinione pubblica. Al contrario, oggi nelle nostre città questa coincidenza si è indebolita, se non del tutto perduta. Sono cambiate le nostre relazioni con lo spazio e con il tempo. Il che tende a provocare spaesamento, sradicamento dal passato e dal contesto. Contrastare questo torpore, questa sfiducia, ci deve vedere uniti, con la capacità di mettere assieme gli sparsi mattoni di un edificio, il corpo civico, in disfacimento».
Quale dovrebbe essere l'obiettivo principale, o quantomeno una delle finalità, del Piano urbanistico?
«Dobbiamo favorire un'intimità pubblica che porti a incontrarsi, a mescolare utenti, operatori e quadri politici, a sollecitare nuove consapevolezze, a (ri)scoprire sé stessi come individui parti di una Comunità. È proprio a partire dal nesso tra capitale civico e storia politica di una comunità, che si deve procedere nel costruire i nuovi orizzonti del diritto alla città».
Bisogna mettere i cittadini nelle condizioni di riappropriarsi degli spazi pubblici. È corretto?
«Esattamente. Credo si debba restituire ai cittadini la percezione delle strade, delle piazze, come spazi delle relazioni. Luoghi praticati, animati dall'insieme dei movimenti che si verificano al loro interno, dalle relazioni che vi si intrecciano. L'esasperazione dei localismi ha portato a cercare nuove regole per fronteggiare la perdita di coesione. Si sono perciò sviluppate nuove forme di pianificazione strategica e modelli di governance che hanno obbligato i livelli delle amministrazioni locali a nuovi paradigmi di declinazione del proprio ruolo».
Il Piano urbanistico è chiamato a fare scelte definitive anche e soprattutto per lo sviluppo e la crescita del centro storico. Cosa dobbiamo aspettarci?
«Per quanto riguarda la città consolidata, che comprende al suo interno la città storica, è necessario che si riconnettano caratteri, memorie e interessi. Questa riconnessione deve partire e fondarsi sulla coesione sociale, non accentuando la separazione funzionale rispetto alle periferie, ma soprattutto affidando la capacità rigenerativa del tessuto insediativo non tanto a una generalizzata possibilità di cambiare le destinazioni d'uso, bensì a calibrate operazioni, definite caso per caso in rapporto alle unità di vicinato, cioè ai primi livelli comunitari all'interno dell'aggregato urbano. Unità che, qualora esistenti, vanno tutelate e, qualora disperse, vanno incentivate».
Lei cosa suggerisce?
«Si devono certamente contingentare e diversificare le aperture di nuovi esercizi commerciali, ma anche porre un freno alla gentrificazione e all'espulsione delle fasce sociali più deboli. E, soprattutto, si deve contrastare la desertificazione delle attività commerciali di prossimità, sinora avvenuta in favore delle medie e grandi strutture di vendita, dislocate per una più facile accessibilità automobilistica, in periferia. Più turismo consapevole e meno turismo predatorio, insomma. Ma anche una grande attenzione ai cambi di funzione nelle operazioni di recupero edilizio: non devono essere spacciate come operazioni di rigenerazione urbana quelle trasformazioni di destinazione d'uso che, in virtù dell'incremento di offerta di residenzialità turistico-alberghiera, sopprimano complessità e anima civica oltre ad alloggi e negozi di prossimità e prescindano dalle necessarie componenti di recupero sociale e culturale. La prossimità dei servizi, delle attività commerciali e artigianali, l'integrazione sociale, la multiformità di usi e funzioni, deve condurre a superare il contrasto tra centro e periferie».
Nel Piano urbanistico si punta a ridurre il consumo di suolo per favorire la capacità rigenerativa della città con un programma di censimento e mappatura di edifici pubblici e privati abbandonati e degli spazi passibili di riconversione funzionale.
«Il Pug potrebbe contenere un elenco di immobili pubblici (o privati ad uso pubblico) che per ubicazione, caratteristiche strutturali e destinazione funzionale, si prestino a interventi di cura, uso, gestione e rigenerazione, da realizzarsi mediante forme di autogoverno o governo condiviso, tipo i Patti di Collaborazione. In alternativa alle alienazioni delle tante proprietà pubbliche in disuso, si potrebbe avviare una strategia integrata di individuazione e rigenerazione di alcuni di questi immobili assieme agli abitanti dei quartieri, discutendo con questi sulle modalità della rifunzionalizzazione di ciascun immobile, talvolta questo legato alla memoria e alle storie degli abitanti, dando risposte conformi ai desideri delle comunità residenti».
Il Pug di Lecce sarà firmato dal Rup e non da progettisti esterni. È d'accordo con questa linea scelta dal Comune?
«L'amministrazione pubblica non può più intendersi come unico soggetto della pianificazione, in quanto l'interesse di sviluppo e tutela della dimensione pubblica della città richiede che il processo di formazione di un Piano avvenga all'interno di un confronto dove interagiscono una pluralità di attori pubblici e privati, più o meno organizzati.
Quotidiano Di Puglia