Destinato a trovare sul cammino l'ostruzionismo, il percorso intrapreso dalla giustizia per venire a capo della morte del bancario leccese Simone Renda, ucciso - ha detto...
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E dire che si tratta di persone che lavorano nell'apparato statale: i 25 anni di reclusione a testa erano stati inflitti dai giudici Roberto Tanisi (presidente), Francesca Mariano (giudice togato) e dai giudici popolari ad Arcero Parra Cano, capo del servizio di permanenza in carcere; a Pedro May Balam, vicedirettore del carcere municipale; ed alla giudice Hermilla Valero Gonzales. Ventuno anni la pena per Luis Alberto Arcos Landeros, guardia carceraria; per Gomez Gomez Cruz, responsabile dell'ufficio di ricezione del carcere; e per Najera Enrique Sanchez, guardia carceraria.
Guardie carcerarie e giudice non si trovano, nonostante i solleciti della Corte d'Assise e della Farnesina. La conseguenza della mancata notifica è lo stop del processo: presentarono ricorso in appello i difensori degli imputati quando - a gennaio del 2017 - vennero depositate le 61 pagine della motivazione. Il processo non si potrà svolgere senza la notifica agli imputati della sentenza di primo grado. E, dunque, con le condanne, non si potrà nemmeno stabilire la congruità delle provvisionali di 150mila euro riconosciute alla madre di Simona Renda, Cecilia Greco; e di 100mila euro allo zio Gaetano Renda, parti civili con gli avvocati Pasquale Corleto, Fabio Valenti e Giuseppe Corleto.
Un nuovo ostacolo alla domanda di giustizia invocata dalla madre di Simone in quella battaglia iniziata da quel 3 marzo di 13 anni fa quando ricevette la notizia della tragedia dai poliziotti della Squadra mobile. In Messico istruirono un processo per omicidio colposo conclusosi con un risarcimento di poche migliaia di dollari e poco ascolto venne dato agli inquirenti salentini andati lì per chiedere collaborazione nella ricostruzione di quella vacanza finita in tragedia per Simone Renda.
E c'è attesa anche fra i tecnici del diritto, poiché quella sentenza ha riconosciuto il reato di tortura richiamando la convenzione di New York quando non era ancora previsto nel codice penale: «Un giovane uomo in condizioni fisiche visibilmente compromesse, descritto come poco lucido ed orientato al momento dell'arresto e con una sospetta crisi cardiaca all'atto della prima visita medica, non poteva essere gettato in cella e dimenticato. Un giovane uomo, in quelle condizioni psico-fisiche, non poteva essere lasciato senza acqua e cibo per un considerevole numero di ore tanto da decedere». Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia