A passo d’uomo sul ferro, a “bassa quota” nei cieli. La Puglia che rischia l’isolamento al primo guasto sulle rotaie e che decolla dagli scali di Brindisi...
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L’obiettivo è dar vita a un sistema integrato tra vettori, eliminando sovrapposizioni. Un modello di servizi tra Foggia e Lecce più flessibile, che si adatti non solo alle esigenze della mobilità pendolare, ma che intercetti veri e propri nodi di interscambio con altri vettori e con altre modalità di trasporto: a Foggia con Ferrovie del Gargano e gomma, a Barletta con Ferrotramviaria, a Bari con Ferrotramviaria, Ferrovie Appulo Lucane, Ferrovie Sud Est e Amtab, a Brindisi con Stp, a Lecce e Taranto con Ferrovie Sud Est. Nel frattempo, la Puglia viaggia a singhiozzo: dal “Frecciarossa” alle “corse” regionali strategiche per il movimento turistico del Salento, come ad esempio il “Lecce-Gallipoli”. Su entrambi i fronti, non v’è certezza sul ripristino “estivo” dei collegamenti. Mentre crescono disagi, disservizi e contrattempi. Come quello che in occasione del primo maggio ha mandato in tilt l’intera rete ferroviaria regionale, complice un banale guasto sulla rotaia nel tratto a binario unico tra Campomarino (Campobasso) e Chieuti (Foggia). Inevitabile il caos, con la sospensione per ore della circolazione ferroviaria lungo lungo la linea ferroviaria Termoli-Foggia. Inevitabile. A subire le conseguenze dell’interruzione del traffico sono state nove “Frecce” e tre “Intercity”, con ritardi accumulati fino a 250 minuti. La causa? Molto semplice: la presenza in quel tratto nevralgico di un solo binario. E così i nodi vengono al pettine. L’alta capacità Lecce-Bari-Napoli prevede il completamento dei lavori non prima del 2026. Mentre è ancora un “campo di battaglia” il “tavolo” istituzionale per raddoppiare proprio quei 30 chilometri di binario unico, tra Termoli e Lesina, nel cuore non di una tratta laterale ma della strategica dorsale adriatica. Ad avversare l’opera la comunità molisana, in rotta sul tema con il governo centrale e con la stessa Regione Puglia.
Questa strozzatura è la causa principale per cui la dorsale adriatica non può essere attrezzata per svolgere le funzioni di rete ferroviaria ad alta capacità e cioè con la possibilità di elevate frequenze dei convogli che la percorrono.
Dalle rotaie alle ali “semichiuse”. Nei giorni più lunghi di Alitalia, con l’ex compagnia di bandiera commissariata e in cerca di acquirenti per non fallire, con conseguenti riflessi negativi sui voli dagli scali di Brindisi e Bari, il governo regionale e Aeroporti di Puglia sono alla ricerca di un partner industriale che possa aiutare a crescere e sviluppare gli scali pugliesi, con il pacchetto di maggioranza di Adp destinato comunque a restare in mani della Regione. Adp ha in programma investimenti infrastrutturali fino al 2019 pari a 187 milioni con due hub (Bari e Brindisi) destinati al traffico civile, uno (Grottaglie) al traffico merci e uno scalo regionale (Foggia). Sei milioni e mezzo di euro, presi dal bilancio autonomo della Regione Puglia, verranno impiegati per potenziare l’offerta low cost e, nella peggiore delle ipotesi, andare a coprire il vuoto lasciato da Alitalia che oggi garantisce 25 voli su Bari e Brindisi verso Roma e Milano.
In settimana, intanto, il via libera allo “shuttle” di collegamento tra l’aeroporto del Salento e la rete ferroviaria nazionale attraverso la stazioncina dell’ospedale Perrino, a Brindisi. Il Tar di Lecce si è infatti espresso in via definitiva sul ricorso presentato da una delle imprese partecipanti alla gara. A questo punto, dunque, pur in attesa di un probabile ricorso al Consiglio di Stato, disco verde alla progettazione ed esecuzione lavori - da oltre 20 milioni a quasi tre anni dal bando di gara del Comune.
Via mare, altri nodi. Lo sanno bene anche le aziende salentine, costrette a fare i conti con le carenze dei porti di Taranto e Brindisi (dove il vento nuovo, comunque, è il movimento crocieristico, spinto da Msc e Costa), privi di un’adeguata infrastrutturazione (scalo container, depositi, laboratori per le prime analisi) rispetto a quelli del Nord, ad esempio Trieste. Risultato: moltiplicazione di tempi e costi.
Queste le facce del Mezzogiorno reale, che danno tangibile e urgente sostanza a due paletti su tutti per lo sviluppo: il “gap infrastrutturale” e il “peso della burocrazia”. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia