Dopo la visita consigliò alla donna in dolce attesa di recarsi presso un altro ospedale perché, evidentemente, non c’era alcuna urgenza. Pochi minuti dopo...
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Il 2 ottobre scorso, quella che doveva essere una giornata da ricordare in positivo per la giovane partoriente si trasformò ben preso in un incubo. Arrivata alla 34esima settimana, la donna si presentò in Pronto soccorso in preda a forti contrazioni, nonostante non fosse ancora giunto il fatidico momento. Fu sottoposta a una visita da parte della ginecologa, che la invitò successivamente a «recarsi presso altra struttura ospedaliera - si legge nel provvedimento notificato all’indagata - munita di unità di terapia intensiva neonatale, benché la stessa dottoressa attestasse con certificato “minaccia di parto prematuro”».
La ragazza, dunque, costretta a lasciare l’ospedale, si ritrovò ad avere le doglie nel parcheggio, tra auto e traffico. Fece appena in tempo a rientrare e a dirigersi verso la sala parto, senza però raggiungerla: la bimba (che fortunatamente sta bene) decise di nascere proprio nel corridoio, «con l’assistenza - scrive il pubblico ministero Paola Guglielmi - di solo personale ostetrico e non medico».
Ora la ginecologa indagata (difesa dall’avvocato Rocco Donato Rizzello) ha venti giorni di tempo per presentare memorie difensive e produrre documenti a sua discolpa. La chiusura delle indagini è il preludio, da parte della Procura, alla richiesta di rinvio a giudizio, da formulare in seguito al giudice per l’udienza preliminare.
Oltre a presentare una denuncia per quanto accaduto, la giovane mamma, assistita dagli avvocati Antonio e Viola Manco, ha inoltrato una richiesta di risarcimento alla Asl. Secondo i legali, la ragazza fu sottoposta a una visita ginecologica «del tutto approssimativa, peraltro senza l’esecuzione di alcun tracciato né di una ecografia». La ginecologa l’avrebbe poi rassicurata «circa le buoni condizioni di salute sue e del feto, ed invitava quest’ultima a recarsi autonomamente, senza predisporre alcun trasferimento assistito della paziente a mezzo di ambulanza, presso l’ospedale di Tricase». Come detto, però, gli eventi precipitarono in breve tempo: solo l’assistenza di un infermiere permise alla 23enne di rientrare in ospedale, comunque «in condizioni - sostengono gli avvocati - di estrema precarietà e di serio pericolo per la salute della madre e del feto». Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia