Controlli, ritardi e fughe di notizie: "braccio di ferro" fra prefetture

Forze dell'Ordine alla sede di Igeco
Un “braccio di ferro” fra uomini di Stato. Lungo e durissimo. Di questo infatti - secondo autorevoli fonti investigative, a Lecce e a Roma - sarebbe figlia...

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Un “braccio di ferro” fra uomini di Stato. Lungo e durissimo. Di questo infatti - secondo autorevoli fonti investigative, a Lecce e a Roma - sarebbe figlia l’operazione di accesso ispettivo ai cantieri e alla sede amministrativa di Igeco scattata ieri.

Per ricostruire l’accaduto è necessario fare un passo indietro, al 2015. Allora, l’operazione “Coltura” portò a stringere le manette ai polsi di 22 presunti esponenti della Sacra Corona Unita e al successivo scioglimento del Consiglio comunale di Parabita. Marco Giannelli, ritenuto il referente del clan, il suo braccio destro e vari affiliati lavoravano proprio per Igeco, che in quel Comune curava la raccolta dei rifiuti in regime di proroga da anni.
Un quadro che, sulla carta, richiama alla mente quello delineato dalla prefettura di Bari per la Ercav, società della famiglia Lombardi di Triggiano, raggiunta lo scorso novembre da una interdittiva antimafia. Nella Ercav lavoravano infatti alcuni esponenti dei clan baresi Parisi e Zonno, elemento che il prefetto di Bari Marina Magno, sulla scorta di numerose sentenze del Consiglio di Stato, ha ritenuto «dirimente» per procedere con l’interdittiva. «I provvedimenti adottati – scrive infatti Magno – hanno natura preventiva e costituiscono “l’anticipazione massima possibile della soglia di difesa sociale” (sentenze 6326 del 2014 del Consiglio di Stato e 3299 del 2016) in quanto “le imprese che hanno rapporti con la Pubblica amministrazione devono garantire la massima affidabilità, non solo nella selezione di amministrazioni e soci, ma anche di dipendenti e devono vigilare affinché nella loro organizzazione non vi siano dipendenti risultati contigui al mondo della criminalità organizzata”».
Ma ciò che nel capoluogo di Puglia è sembrato «dirimente», a Roma è rimasto per due anni e più in attesa di un pronunciamento. Ritardi, fughe di notizie, resistenze hanno segnato questo lungo periodo, durante il quale una impresa priva di certificazioni antimafia ha potuto continuare a operare, aggiudicandosi appalti milionari per lavori e forniture di servizi con le Pubbliche amministrazioni.
Dopo l’operazione “Coltura”, il prefetto Claudio Palomba ha inviato a Roma una relazione riservata su quanto avvenuto a Parabita, chiedendo accesso e controlli antimafia per Igeco. Ma i mesi sono diventati anni e dalla prefettura romana non arrivava risposta. A tenere le redini del Viminale era, allora, Angelino Alfano. Suo vice, Filippo Bubbico. Alla fine del 2016 ad Alfano subentra l’ex Pci Marco Minniti. E, nel frattempo, la corrispondenza riservata fra Palomba e la prefettura capitolina finisce in una interrogazione di Lucio Barani, senatore di Ala - partito di Denis Verdini - al ministro dell’Interno. Siamo a gennaio 2017. Barani specifica che «da notizie di stampa» risulta «l’apertura di un fascicolo da parte del prefetto di Lecce a valle dell’indagine “Coltura”». Tali notizie «appaiono all’interrogante – prosegue Barani - potenzialmente in grado di arrecare nocumento all’immagine di Igeco, adombrando lo spauracchio di un collegamento tra l’azienda e l’attività criminale dei clan esistenti in Puglia che, da notizie apprese, potrebbero indurre o già aver indotto il prefetto di Lecce ad avanzare presso la prefettura di Roma la richiesta di emissione di un provvedimento interdittivo nei confronti di Igeco Spa». Interrogazione che, all’epoca, sollevò più di qualche perplessità negli ambienti prefettizi e investigativi leccesi, dal momento che mai la stampa aveva riferito una notizia del genere. Se così è, da chi e in che modo il senatore Barani è venuto a conoscenza della corrispondenza ufficiale e privata fra due prefetture? Non è dato sapere e la risposta del Viminale è rimasta secretata.
Palomba va avanti a testa bassa. Coinvolge Anac, dalla quale non riceve risposta. Insiste. E alla vigilia dell’estate 2017, inoltra un’altra richiesta. Stavolta la prefettura di Roma delega quella di Lecce, “autorizzando” di fatto l’accesso ai cantieri di Igeco, limitatamente alle province di Lecce, Brindisi e Taranto. Ieri, dunque, nel Salento i controlli a San Cataldo e San Donato.

Come andrà a finire, lo stabiliranno le indagini del Gruppo Interforze per gli Appalti e la prefettura di Lecce. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia