Pochi asili nido, poche donne al lavoro. Il Salento rispetto alla media nazionale non è una provincia che aiuta le mamme nelle loro carriere o, semplicemente, ad avere...
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Le cose non vanno meglio per il resto della Puglia, anzi, che offre in media 14 posti, contro i 24 dell'Italia.
La radiografia la consegna Openpolis con il suo focus sulla connessione tra servizi per l'infanzia e occupazione femminile, frutto dell'elaborazione di dati Istat. L'istituto di ricerca, infatti, ha pubblicato recentemente un report su asili nido e servizi per l'infanzia che riguarda l'anno scolastico 2016/2017. L'incrocio dei dati tra asili nido e donne occupate, specie se confrontati con quelli di Centro e Nord del Paese, dà un quadro chiaro. Le donne fanno più fatica, rispetto agli uomini, a trovare occupazione e se hanno figli la salita diventa ripida. In più gli asili hanno una funzione sociale ed educativa, molto importante nella società contemporanea dove il nucleo familiare è sempre più chiuso tra le mura domestiche. Proprio a questo principio si ispira il sistema di istruzione ed educazione integrato 0-6 anni che prevede la costituzione dei Poli per l'infanzia: dalla nascita, all'ingresso nella scuola primaria. Un modello che, però, ancora non decolla. Il binario dell'offerta pubblica di asili nido si muove per un verso sul piano educativo, per assolvere a una funzione sociale molto importante. Dall'altra parte la necessità di offrire questi servizi a un prezzo accessibile per dare alle donne la possibilità di lavorare, senza essere costrette a rinunciare perché assorbite dalla cura dei figli.
L'Istat osserva anche un altro fenomeno: la progressiva diminuzione degli asili nido gestiti direttamente da Comuni e l'incremento dell'affidamento della gestione ai privati che, in ogni caso, devono adeguarsi a un sistema di rette fissate dalla Regione. Ce ne sono di molto basse, si parte da 20 euro, ma alla soglia dei 40mila euro di reddito (che non sono una cifra da capogiro, per un nucleo familiare) scatta la quota ritenuta da molte famiglie non sostenibile. Il sistema ruota attorno a un catalogo telematico a cui gli operatori interessati devono, se ne hanno i requisiti, aderire per poter applicare rette calmierate. Per ogni bimbo la Regione ha fissato una retta che va da circa 550 euro a circa 850, ma le famiglie pagano la retta secondo il reddito Isee e la differenza è a carico della Regione che non eroga direttamente agli operatori, bensì agli ambiti di zona. Per poter avere un ritocco della retta il capofamiglia deve richiedere, attraverso il catalogo telematico, i buoni di servizio per la conciliazione (il bando per il 2019 si chiuderà alle 12 del 14 giugno). Si tratta di buoni economici che vengono erogati alle famiglie affinché possano integrare le rette. Ne possono usufruire i nuclei familiari con un reddito Isee non superiore a 40mila euro annui che abbiano uno o più figli, sino ai 17 anni di età. Sono tanti i nuclei familiari con un reddito Isee di settemila euro, che pagano 50 euro al mese, ma non è semplice per chi si trova rette da 400 euro.
In Puglia le strutture convenzionate sono: 371 tra asili nido e sezioni primavera (24 nel Salento) per un totale di 8.679 posti nido per bambini dai 3-36 mesi, a cui devono aggiungersi i servizi erogati dai centri ludici per la prima infanzia, le ludoteche, i centri socio educativi. Nello staff dei nidi convenzionati con la Regione è prevista la presenza di almeno un pedagogista, di educatori professionali in numero sufficiente a garantire la cura dei bambini, un coordinatore, una cuoca e l'addetto alle pulizie. Possono accedere a queste strutture i lattanti (dai 3 ai 12 mesi), i semidivezzi (da 12 a 24 mesi), i divezzi (da 24 a 36 mesi). Ma il problema è che gli asili nido sono troppo pochi. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia