Allarme a Burgesi, Rosafio avverte: «Sotto terra anche altri veleni industriali»

La discarica di Burgesi a Ugento
«Quei 600 fusti sono lì, dentro la discarica di Burgesi a Ugento. Conosco il punto con precisione. E ci sono anche altri veleni: vernici, pellame e altro...

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«Quei 600 fusti sono lì, dentro la discarica di Burgesi a Ugento. Conosco il punto con precisione. E ci sono anche altri veleni: vernici, pellame e altro ancora». Tutti rifiuti industriali che Gianluigi Rosafio ha detto ai carabinieri del Noe e del Nucleo investigativo di aver tombato nell’impianto di smaltimento di rifiuti solidi urbani a due passi dai Comuni di Ugento, Acquarica e Presicce.

L’autotrasportatore, già condannato per traffico e smaltimento illecito di rifiuti, ha scritto una nota indirizzata ai sindaci dei Comuni di Ugento, Acquarica del Capo e Presicce, alla Procura di Lecce e, in particolare, al procuratore generale Antonio Maruccia. Per «confermare in ogni loro parte le dichiarazioni a suo tempo rese e verbalizzate dai carabinieri del Noe».
 
Di più. Ieri, poco prima di varcare ancora una volta le porte della caserma di Lecce, Rosafio ha rivelato anche di aver sversato dentro alla discarica di Ugento altri veleni: «Si tratta di vernici, pellame e altri tipi di rifiuti industriali», simili a quelli che anni fa furono ritrovati nel Capo di Leuca, lungo il tracciato disegnato per il progetto di rifacimento della statale 275 Maglie-Leuca e che, a distanza di anni, ancora oggi aspettano di essere rimossi.
Dichiarazioni, queste ultime di Rosafio e quelle relative ai 600 fusti tombati, tutte verbalizzate dai carabinieri del Noe e del Nucleo investigativo nel 2015. Ed è proprio sulla scorta delle affermazioni fatte da Rosafio ai militari dell’Arma, che i pm Angela Rotondano ed Elsa Valeria Mignone hanno poi aperto un’inchiesta, cercando subito i necessari riscontri.
Così, su richiesta della Procura, il Cnr Irsa di Bari ha effettuato il monitoraggio dei pozzi di percolato e dei pozzi che attingono direttamente alla falda superficiale e profonda a Burgesi. E hanno certificato che «inequivocabilmente» nella discarica sono stati stoccati fusti contenenti Pcb e che, con ogni probabilità secondo i ricercatori del Cnr, si trovano nel lotto 3 della discarica.
Si tratta di fusti diversi da quelli rinvenuti sempre negli anni 2000 dagli inquirenti e per lo smaltimento illegale dei quali Rosafio e altri sono stati condannati in via definitiva. Lo dice l’autotrasportatore, specificando anche di conoscere «con precisione il punto esatto dove stanno quei fusti». Dichiarazioni, queste, sempre messe a verbale.
«Confermo - ha scritto infatti Rosafio nella nota di ieri - di essere stato testimone oculare dell’interramento presso la discarica di Burgesi di centinaia di fusti contenenti Pcb, avendone peraltro indicato autori, provenienza, modalità, circostanze di tempo e luogo del loro interramento per ogni eventuale, necessario riscontro». E di essere pronto e disponibile non solo «a offrire ulteriori, utili contributi all’accertamento della verità», ma anche a «rendere noto, nel rispetto della legge, il contenuto tutto delle dichiarazioni già rese davanti agli inquirenti, soprattutto a beneficio delle comunità più direttamente interessate».
Perché oggi, dopo l’allarme lanciato dalla Procura sull’«elevato rischio ambientale» presente a Burgesi e per far fronte al quale - hanno scritto i pm Rotondano e Mignone nella richiesta di archiviazione dell’inchiesta - «si impone l’avvio dei procedimenti necessari alla bonifica», Regioni e Comuni sono decisi a capire dove si trovino quei rifiuti speciali e come si possa mettere in sicurezza e poi bonificare la discarica.
Non solo. Commentando la nota di giovedì scorso con la quale la stessa Procura ha frenato e cercato di ridimensionare l’allarme scatenatosi nel frattempo nel Salento, il pm Mignone, coordinatrice del pool di magistrati che indagano sui reati ambientali, ha chiarito che «l’elevato rischio ambientale» è legato anche alla quantità e al tipo di rifiuti che Rosafio avrebbe sversato illegamente nel corso degli anni all’interno dell’impianto gestito da Monteco.

Nei tre ettari di discarica a Burgesi, una enorme distesa di rifiuti che è stata sopraelevata perché potesse accoglierne più del previsto e far fronte all’eterna emergenza del Salento, c’è quindi una bomba ecologica, mai messa in sicurezza e mai bonificata. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia