Coronavirus, medici lombardi esausti: «Qui è l'inferno, restate a casa o sarà un bagno di sangue»

Coronavirus, medici lombardi esausti: «Qui è l'inferno, restate a casa o sarà un bagno di sangue»
L'immagine del coronavirus è il professor Antonio Pesenti, 68 anni, direttore del Policlinico e coordinatore dell'unità di crisi di Regione Lombardia per le...

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L'immagine del coronavirus è il professor Antonio Pesenti, 68 anni, direttore del Policlinico e coordinatore dell'unità di crisi di Regione Lombardia per le terapie intensive, che piange. Lui taglia corto: «Non è mai accaduto. Io non mi commuovo mai». Poi però aggiunge: «Immagini un medico di guardia in pronto soccorso, dove arrivano più malati di quanti riesca a curare nel tempo. È successo questo nei primi giorni della crisi, ora ci siamo attrezzati».


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INFERNO
Ma l'onda d'urto del contagio, in Lombardia, è sempre più potente rispetto alle forze in campo. Tanto che un medico di terapia intensiva del Sacco di Milano lancia via whatsapp un appello disperato: «Ciao dall'inferno. Qui è veramente pesante e dura. Siamo allo stremo ma resistiamo. Vi chiedo un favore per noi e soprattutto per gli infermieri che sono oltre l'eroismo. Aiutateci stando a casa, non siamo quasi più in grado di assistere oltre». In Lombardia i positivi sono 5.791, i morti 468 e il peggio, scrive il dottore, deve ancora arrivare. «Si prevede un picco ulteriore e noi siamo passati da otto posti di rianimazione generale e otto di cardiochirurgia a 32 posti. Aumenteremo ancora ma noi siamo sempre gli stessi. Convincete amici e conoscenti a resistere 15-20 giorni rispettando le regole. Altrimenti sarà un bagno di sangue». Al Sacco sono 23 i pazienti intubati e in tutta la regione sono più di 500 i malati che richiedono la ventilazione meccanica. «Ogni giorno ne intubiamo dai trenta ai cinquanta, sono numeri da guerra», afferma il direttore della terapia intensiva del Sacco, Emanuele Catena. «Entrano pazienti quasi esclusivamente adulti, anziani e giovani, sono meno colpite le femmine. I pazienti sono in condizioni molto critiche, intubati, connessi a un ventilatore, mantenuti in coma farmacologico e affinché la patologia si risolva sono necessari molti giorni di degenza. Stare in terapia intensiva dieci o quindici giorni espone poi il malato a complicanze di lungo termine». Nel suo reparto, racconta, «gli infermieri hanno turni di otto ore, i medici di 12-14 ore, e dopo il turno escono stremati, perché passano gran parte tempo sotto le tute protettive, con un lavoro duro su pazienti molto complessi, pericolosi, delicati, che richiedono anche variazioni di postura per poter essere curati al meglio. Il personale sta veramente facendo di tutto e lo sta facendo al meglio».

SENZA PROTEZIONI

Alcuni presidi sono allo stremo. Dice l'assessore al Welfare Giulio Gallera: «Bergamo è in una situazione di grande tensione. A Cremona abbiamo portato via otto pazienti e stiamo mandando immunologi». Il presidente dell'ordine dei medici di Bergamo, Guido Marinoni, conferma: «Qui la situazione è drammatica. Le terapie intensive sono piene. Si riesce ancora a ricoverare i pazienti più gravi con insufficienza respiratoria, ma molti con polmonite bilaterale vengono rinviati al domicilio per essere seguiti dai medici di base e al momento sono circa 2.000. Su molti di questi pazienti non si riesce però a eseguire il tampone, che viene destinato in primo luogo ai ricoverati, nonostante possano essere potenzialmente positivi. E la cosa grave è che i medici di base che devono curarli spesso non hanno ancora a disposizione i dispositivi di protezione». Materiale inadatto e tanto lavoro: ora, nella bergamasca, ci sono quattro medici ricoverati e quaranta in isolamento. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia