LONDRA - Ha preso a calci il mondo, dal Tagikistan al Gabon, per illuminare con l'oro la sua vita di lottatore del Sud e il taekwondo azzurro. E alla fine Carlo Molfetta, 28 anni,...
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Per una notte, tra le grida del pubblico dell'Excel trasformato in un'arena da Rocky, è gloria vera. Stavolta è di Molfetta il calcio che basta a riempire tutta una vita, più che il portafogli. Pazienza se si continuerà a chiamarlo tachendò e a non raccapezzarsi su come definire chi lo pratica: troppo difficile capire davvero (e pronunciare) un'arte marziale che viene da lontano, 2000 anni e tanta Corea. Qui sul tatami però c'è tanto Sud del mondo, gente di nazioni o città dove ci si deve difendere attaccando, in qualsiasi modo. E sul podio vanno anche Afghanistan, Iran, Colombia, oltre alla Corea o agli Usa. Il Sud dell'azzurro d'argento si chiama Mesagne, 27 mila abitanti a pochi chilometri da Brindisi, lì in fondo all'Italia, e un lutto profondo per la giovane Melissa uccisa dalla bomba di un folle a scuola. Il suo Sud invece è stato un combattimento lungo otto anni, da predestinato a 'sfigatò del taekwondo olimpico: i Giochi erano finora l'unico appuntamento fallito Molfetta il "Lupo" lo chiamavano da quando a 5 anni mamma Maria Antonietta disse a papà Eupremio «portalo in palestra o questo mi sfascia casa, tanto è vivace».
Lui a 12 anni già firmava autografi ai compagni di classe dicendo: vedrete, quando arrivo alle Olimpiadi varranno molto. E per gli ultimi 10 anni ha allenato quel sogno vivendo "recluso" al centro tecnico del Coni Giulio Onesti, appena qualche ora di libera uscita serale con la fidanzata Serena, la divisa da Carabiniere nel gruppo sportivo. Sacrifici ripagati da un podio la cui mancanza, raccontano dalla nazionale, «gli stava togliendo il sorriso». Stasera per far crescere esponenzialmente le quotazioni degli autografi di bambino ha dovuto tirar calci e pugni e metter ko avversari di ogni parte del mondo e un grande handicap, il peso. Con le categorie olimpiche ridotte a quattro da otto, lui che di solito combatte sotto gli 87 chili ha dovuto scegliere il più 80, lasciando combattere Sarmiento tra i 'menò pesanti. Risultato, ha affrontato giganti di due metri e fino a 120 chili di peso, lui che al massimo qui è riuscito a salire a 90. «Tecnica e testa», questo dicono però del suo modo di combattere i tecnici azzurri.
E con quelle due armi si è preso una rivincita di Atene 2004 (ko contestato al primo match con un iraniano) e di Pechino 2008 (quattro operazioni al ginocchio e addio Giochi). Qui a Londra ha cominciato con un tagiko, Alishev Gulov (solo 6 centimetri in più) e lo ha regolato con 5 punti nell'ultimo round fino al 7-3 finale; ha proseguito con il gigante cinese Liu Xiabao (quasi 20 cm in più) annullando il vantaggio delle gambe lunghe solo al 'golden point' del supplementare. Poi il maliano Modibo Keita, ancora più grosso e altro (2.03), difendendo nell'ultimo round il vantaggio dei primi due fino al punto finale contestato. Poi l'epilogo thrilling, nella notte, e un'oro di calci che portano in volo.
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Quotidiano Di Puglia