Sono dei fanatici perché l'Islam è ben altra cosa

Sono dei fanatici perché l'Islam è ben altra cosa
L’attentato di Parigi ha lasciati tutti senza parole. È stato abbastanza naturale, per molti di noi, collegarlo ai fatti, tutto sommato meno gravi, verificatisi nella stessa...

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L’attentato di Parigi ha lasciati tutti senza parole. È stato abbastanza naturale, per molti di noi, collegarlo ai fatti, tutto sommato meno gravi, verificatisi nella stessa città ai primi del gennaio scorso. Questa volta, però, il carattere e le dimensioni di attentati coordinati inducono a ritenere che siamo dinanzi a qualcosa di più serio e di più grave.


Non possiamo attribuire con leggerezza responsabilità a mandanti che non siano fuor di dubbio tali: né purtroppo ci si può fidare di rivendicazioni che potrebbero rivelarsi puro sciacallaggio propagandistico. Ammettiamo pure, e così facendo non saremo forse lontani dal vero, che i mandanti si trovino all’interno dell’IS e di al-Qaeda. Che senso ha da parte loro colpire, umiliare, spaventare un’intera grande città europea? Una città, per giunta, capitale di un paese che fino ad oggi non sembra essersi distinto nell’attacco contro i jihadisti.



Al contrario: fu il presidente Sarkozy a servirsi di loro in Libia per rovesciare Gheddafi; è stato il presidente Hollande a utilizzarli, sia pure indirettamente, contro il loro nemico Assad. Che motivo avrebbe il califfo al-Baghdad, di prendersela proprio con la Francia? “Attacco all’Occidente” si è detto: ma fino ad oggi le potenze occidentali, insieme con i loro alleati sauditi, qatariori, turchi ed egiziani, hanno in realtà fatto pochissimo per contrastare i progressi dell’IS.



Semmai, sembrano aver fatto di più i raid russi: ai quali si è infatti puntualmente risposto con un attentato terroristico “classico”, quello contro l’aereo decollato giorni fa da Sharm al-Shaykh.

Se il colpire Parigi appare incongruo, insensato sembra d’altra parte il fingere che il mondo musulmano stia tacendo ed abbia incassato l’evento con noncuranza se non con soddisfazione.



Tanto la Lega dei Popoli Musulmani quanto l’Università coranica di al-Azhar hanno reagito immediatamente condannando l’attentato in termini durissimi ed inequivocabili: peccato che tali condanne non siano state registrate dai nostri media e che si sia anzi parlato, come sempre succede, del silenzio delle comunità musulmane. I musulmani nel mondo sono un miliardo e seicento milioni, i terroristi e i loro simpatizzanti vengono valutati dagli esperti non più di qualche decina di migliaia. È evidente che non siamo davanti ad uno “scontro di civiltà”, bensì all’attacco tanto lucido quanto forsennato di un gruppo di fanatici che sta utilizzando la religione come un alibi ideologico e perseguendo alla luce di esso l’impossibile scopo di unire l’Islam in una guerra contro l’Occidente che esso non ha alcuna voglia e alcuna ragione di condurre.



Sia chiaro che tutto ciò non è buonismo; e che i complici dei terroristi non sono i cosiddetti buonisti, cioè coloro che tendono a comprendere le situazioni concrete e ad articolare il giudizio, bensì coloro che vorrebbero far d’ogni erba un fascio e gettare indiscriminatamente le nostre forze contro un nemico immaginario in quanto non costituisce affatto un fronte unico.



Il fondamentale problema consiste semmai nel rendersi conto da parte nostra che esistono all’interno del mondo islamico, soprattutto arabo, forze che agiscono ambiguamente: da un lato sono alleati e partners degli occidentali, dall’altro proteggono, finanziano, armano l’IS e lo aiutano a riciclare il petrolio estratto all’interno del territorio che esso controlla. Inutile partire scriteriatamente, per esempio, all’assalto dei migranti che fino ad oggi non hanno mostrato alcun rapporto di collaborazione con i terroristi (e ciò è sottolineato da esperti come il nostro generale Jean); inutile criminalizzare le comunità musulmane che vivono fra noi, molte delle quali hanno già espresso la loro indignazione davanti ai fatti di Parigi e che in genere non chiedono di meglio se non di poter convivere e lavorare al nostro fianco. Il mostro terroristico si vince prevenendolo: mediante l’intelligence, l’infiltrazione nelle organizzazioni criminali e l’isolamento dei sospetti fiancheggiatori che non può avvenire se non grazie alla collaborazione dei loro correligionari che meglio li conoscono e li valutano. Se perdiamo la testa e cediamo ad atti inconsulti, abbiamo già perduto la partita. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia