Fisco, pochi margini per flessibilità Ue. Renzi: tasse giù riducendo gli sprechi

Fisco, pochi margini per flessibilità Ue. Renzi: tasse giù riducendo gli sprechi
Non sarà facile per il governo italiano finanziare la riduzione del carico fiscale ricorrendo a più ampi margini di flessibilità di bilancio rispetto alle regole europee. La...

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Non sarà facile per il governo italiano finanziare la riduzione del carico fiscale ricorrendo a più ampi margini di flessibilità di bilancio rispetto alle regole europee. La prudentissima reazione della commissione (che con il responsabile degli Affari economici Pierre Moscovici si riserva di esaminare eventuali comunicazioni da Roma quando arriveranno) fa certamente parte della prassi comunitaria, ma segnala anche che la partita si giocherà su un terreno tutt’altro che spianato. Anzi decisamente accidentato. Ieri il presidente del Consiglio Renzi ha confermato i propri obiettivi, spiegando di voler «buttare giù le tasse» con la spending review e l’eliminazione degli sprechi della pubblica amministrazione. Poi ha chiesto all’Europa di «dare una mano a chi vuole ripartire e non solo di fare la maestrina con la matita rossa e blu».


Il fatto è che il nostro Paese ha già sfruttato o “prenotato” buona parte della flessibilità disponibile in base alle attuali regole: quella flessibilità che deriva da un’applicazione intelligente dei Trattati e che - in buona parte anche su impulso italiano - è stata formalizzata nella comunicazione messa nero su bianco dalla commissione nello scorso gennaio. L’utilizzo dei margini consentiti dalla normativa europea è iniziato di fatto - retrospettivamente - già nel 2014.



In quell’anno l’Italia si è ritrovata a sperimentare la «congiuntura eccezionalmente sfavorevole» («exceptionally bad times») che secondo la normativa europea si ha quando il cosiddetto output gap, ovvero lo scarto tra il Pil effettivo e quello potenziale, eccede il 4 per cento. In questo contesto sono state superate le obiezioni circa il mancato rispetto della regola del debito.



L’INDICATORE

Nel 2015 poi lo stesso indicatore dovrebbe leggermente migliorare, scendendo al 3,8 e portando comunque il nostro Paese in «congiuntura molto sfavorevole» («very bad times»). In una situazione del genere è possibile dimezzare l’impegno richiesto, ovvero conseguire solo uno 0,25 per cento del Pil (invece che lo 0,5) come aggiustamento annuo del disavanzo strutturale. Lo 0,5 per cento pieno sarebbe richiesto invece nel 2016, in cui la congiuntura diventerebbe semplicemente «sfavorevole» (con un output gap al 2,5 per cento).



Ma per il prossimo anno il governo intende chiedere l’applicazione della clausola delle riforme, ovvero la possibilità - concessa ai Paese che dimostrano di aver fatto interventi per migliorare la crescita di lungo periodo - di deviare temporaneamente dal percorso verso l’obiettivo di medio termine (Mto, nel nostro caso il pareggio di bilancio in termini strutturali). La deviazione può arrivare al massimo allo 0,5 per cento del Pil; il ministero dell’Economia ha specificato di volersene avvalere per uno 0,4. Dunque nell’ipotesi abbastanza ragionevole che il ricorso alla clausola delle riforme venga concesso, ci resterebbe solo un margine pari allo 0,1 per cento, 1,6 miliardi.



Poco rispetto ai 45 in un arco pluriennale ipotizzati per l’abbattimento delle imposte. È vero che nelle regole europee c’è anche la clausola degli investimenti. Si ritiene che possa essere utilizzata insieme a quella delle riforme, ma comunque permette di dare spazio finanziario solo a spese di tipo particolare, cofinanziate dalla stessa Ue. Non alla riduzione del prelievo fiscale. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia