Tapparini, le storie anti-crisi di un figlio d'arte

Un'opera di Vittorio Tapparini dedicata al padre Ugo
La pittura come narrazione fantastica, come racconto di una realtà lieve, sognante ed evocativa, in cui il grigiore e l'abulia della quotidianità si dissolvono...

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La pittura come narrazione fantastica, come racconto di una realtà lieve, sognante ed evocativa, in cui il grigiore e l'abulia della quotidianità si dissolvono in una visione variopinta e spensierata. È questo il nuovo corso della ricerca artistica di Vittorio Tapparini, che torna a presentarsi al pubblico leccese nelle vesti di “Fabbricante di storie”, come recita il titolo della sua nuova personale impaginata a Lecce, nei locali della Galleria Scaramuzza Arte Contemporanea, a pochi passi dal Duomo, che verrà inaugurata stasera alle 20.

Animatore culturale e sperimentatore di molteplici linguaggi, Vittorio è figlio di Ugo, pittore tra i più noti e apprezzati nel Salento, scomparso lo scorso gennaio lasciando orfano il suo lussureggiante universo iconico, popolato di giunoniche figure e luminosi paesaggi. Una storia di famiglia la loro fatta di incontri stimolanti e amicizie celebri, all'insegna del motto “buon sangue non mente”, riassumibile in un approccio spensierato alla tela, sempre sostenuto da un'inconfondibile visionarietà. Padre e figlio uniti nella vita e nell'arte, animati da autentica verve creativa, approdati entrambi a uno stile personale, frutto di un sapiente e costante ripensamento del fare arte, fuori da emulazioni e condizionamenti. Lo spirito di ricerca è evidente soprattutto nel figlio, alle prese da anni con forme e materiali eterogenei, immune da divisioni e gerarchie in nome di una poliedricità manifesta, ben oltre la sola pittura. Eppure proprio la tela è il supporto scelto da Vittorio per raccontare i suoi più recenti traguardi dando luce e colore ad un'immaginazione leggera e disimpegnata, in cui gli opposti si invertono e le trame del reale si allargano ammettendo il verosimile e finanche il fantastico. Il risultato è rappresentato da una moltitudine di tele che dietro il rassicurante e ironico aspetto bambinesco rivelano una maturità e una consapevolezza artistica più che ventennale.
Conclusa definitivamente l'esperienza del Gruppo Tracce e recuperati tela e pennelli, l'artista riallaccia i fili della narrazione dell'arte, rintracciandoli nei sogni e nelle favole dell'infanzia. «L'urgenza narrativa in Vittorio Tapparini - ha scritto Claudia Presicce nel testo critico che accompagna la mostra - è un istinto insopprimibile, inderogabile. Ha dipinto per tutta la vita, in modi e tempi apparentemente diversi, sin da quando da ragazzo rinunciava a qualche corsa in moto con gli amici nell'ingenua e fresca Lecce degli anni Ottanta per inseguire segretamente le sue fantasie».
La mostra leccese è dunque un ritorno alle origini, a un passato mai dimenticato e che ora è divenuto impellente, quasi necessario, imprimendo di sé il presente. Opere di ridotte dimensioni, prossime nell'iconografia e nello stile a quelle esposte di recente a Roma, in occasione della personale alla galleria della chiesa di Santa Maria dei Miracoli in via del Corso, poste insieme, una dopo l'altra, a comporre un inedito storytelling fatto di personaggi minuti, simili a marionette, immersi in un mondo benevolo, dove le fiamme non bruciano, il mare non conosce sventure e il cielo si riempie di stelle e cuori. Lavori “anti crisi” li ha definiti l'artista, concepiti come invito alla gioia di vivere, al recupero della fantasia e della spensieratezza infantili, esorcizzando diatribe sociali e problematiche esistenziali. Un immaginario favolistico, evocativo e sognante, a tratti volutamente sgrammaticato, che dietro la sinossi infantile cela anni di rapporti, di ricerche e di scoperte.
Gli insegnamenti paterni trapelano ma non si impongono. I tocchi del pennello, soavi eppure saturi di colore, tracciano un legame che è vivo e sensibile ma non condizionante, che Vittorio avverte e si porta dentro sotto forma di spensierata visionarietà e repertorio iconico variopinto, sospeso tra eredità genitoriale e libertà d'espressione. Campiture piatte compongono scene bidimensionali, autenticamente surreali. Tasselli di colore si affiancano l'uno all'altro sul medesimo piano fino a sovvertire rapporti geometrici e regole prospettiche, determinando superfici pittoriche simili a mosaici privi di matericità. Una pittura resa innaturale dal suo essere leggera, memore di Chagall e di quanto il genere favolistico ha saputo produrre nel corso del Novecento, ma soprattutto di Ugo, il padre-maestro che lo ha iniziato all'arte, seguendolo a distanza, nel pieno rispetto della sua sensibilità. Difficile per Vittorio dimenticare le corpulenti figure del padre, i suoi colori vispi, la sua linea fluida e le sue forme definite, quel mondo spensierato e gioioso che Ugo ci ha lasciato e che oggi il figlio reinterpreta a suo modo, passandolo al setaccio del suo vissuto, dando nuovo corso alla vicenda familiare, che, come ogni forma della storia, riesce a guardare avanti senza rimpianti o ripensamenti, solo imparando da se stessa.

La mostra, visitabile fino all'11 settembre, è aperta tutti i giorni dalle 10 alle 13 e dalle 17.30 alle 22.30. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia