Pasolini, al Palmieri la sua ultima lezione

Pasolini, al Palmieri la sua ultima lezione
Cento anni di Pierpaolo Pasolini. Un secolo di storia solcata al centro dal suo passaggio, segnata dai suoi ragionamenti geniali, immensi, quanto irritanti, irriverenti. Per...

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Cento anni di Pierpaolo Pasolini. Un secolo di storia solcata al centro dal suo passaggio, segnata dai suoi ragionamenti geniali, immensi, quanto irritanti, irriverenti. Per molti, irriguardosi. Ha spettinato quel mezzo ‘900 e segnalato con tanto anticipo le sue contraddizioni, la deriva verso cui la società occidentale stava lentamente scivolando: ha creato un allerta agli agguati del consumismo con le nuove e vecchie borghesie ancorate al potere e un pauperismo sociale soltanto meno visibile, ma dilagante e mascherato a volte in modo inquietante...


Il prossimo 5 marzo ricorre il centesimo anniversario dalla nascita di Pierpaolo Pasolini. E l’omaggio alla sua rivoluzione culturale parte dalla Puglia. Alle 16 infatti prenderà il via “Viaggio con Treccani nella poetica di Pasolini” organizzato dalla Fondazione Treccani Cultura che si svolgerà in diverse località in Italia, partendo però da Lecce e più precisamente proprio dal liceo in cui il grande poeta, intellettuale, scrittore, tenne il suo ultimo incontro pubblico: un corso di aggiornamento per insegnanti, proprio in quell’aula magna.

Una lezione su "lingua e dialetti" con la sua poesia "Il volgar'eloquio"

Era il 21 ottobre del 1975, e poco dopo, il 5 di quel maledetto novembre 1975, Pasolini fu ucciso all’Idroscalo di Ostia. A Lecce parlò di lingua e dialetti, con la sua poesia “Il volgar’eloquio” e di tante altre cose. Alla fine dell’incontro due professori lì presenti, Rocco Aprile e Luigi Tommasi, gli parlarono del griko e lo accompagnarono anche a Calimera per incontrare i cantori la cui “conservazione” per Pasolini era straordinaria.

«A Lecce Pasolini discusse alla presenza di docenti e studenti interessati come noi – spiega Rosario Coluccia, docente Unisalento e membro dell’Accademia della Crusca, a quel tempo neolaureato che partecipò all’incontro – non volle fare una conferenza, ma preferì un dibattito aperto che venne registrato e successivamente anche pubblicato. Solo per introdurre la conversazione ci lesse alcuni versi della sua poesia “Il volgar’eloquio” che dimostrava la sua apertura verso il dialetto».

Parlò di "genocidio delle culture tradizionali in Italia"

Erano gli anni in cui, partendo dalla constatazione dell’estinzione dei dialetti che Pasolini considerava una riserva etica, denunciava una disgregazione della stessa forza popolare, infiacchita da un sistema che preferiva bravi ‘consumatori’ a bravi ‘cittadini’. «Parlava di genocidio in Italia riferendosi alla distruzione delle culture tradizionali, come i dialetti e un certo modus vivendi – continua Coluccia – che vedeva messi in crisi dal consumismo ossessivo che pervadeva tutti i campi e comportava una perdita della complessità della tradizione e un appiattimento in nome del modernismo. Già dieci anni prima in un intervento specificamente linguistico intitolato “Nuove questioni linguistiche”, si era espresso in questo senso e venne anche fortemente contestato…».

Al Palmieri quindi si parlò della possibilità di un recupero delle tradizioni e dei dialetti, che era proprio il tema del corso leccese (a cui fu invitato insieme a due studiosi delle culture popolari, Antonio Piromalli e Gustavo Buratti) dal titolo “Dialetto e scuola”. «La sua posizione su questo fu nettissima – spiega ancora Coluccia – Pasolini disse che il problema dei dialetti e delle lingue minoritarie oramai, dopo quel genocidio, si poteva trattare solo in due modi: museale, usando i dialetti ‘imbalsamati’ come reperti archeologici, oppure come elemento di separatismo rispetto alla lingua dominante. Era un’estremizzazione. Eppure poi è accaduto con le politiche della Lega Nord con le distinzioni tra lingua lombarda o veneta, mal riuscite per fortuna…».

Il suo pensiero spesso venne contestato dalle accademie, non sempre si colse la provocazione, il paradosso e anche la perspicacia dell’idea sottesa. «I giudizi troppo severi sulle contraddizioni, sulla mancanza di dimostrazione scientifica, sulla visionarietà delle teorie di Pasolini erano ciechi rispetto alla natura e all’enorme intelligenza dell’intellettuale – spiega Coluccia – alla sua straordinaria capacità di assistere a certi fenomeni e descriverli estremizzandoli anche, tipica dell’intellettuale che non si accontenta della società com’è».

E in fondo a che cosa serve un intellettuale se non a criticare, a mettere in discussione quello che non va, ad immaginare mondi ancora inesistenti… «Mi sono chiesto spesso che cosa avrebbe pensato Pasolini di certi fenomeni della nostra società, della rete o del bullismo, dell’iperconsumismo – conclude Coluccia – della televisione, figlia del consumismo, parlava malissimo, la vedeva come elemento distruttivo della società italiana. Dopo decenni oggi sappiamo che la televisione è anche servita a una certa unità linguistica del nostro Paese, le lezioni del maestro Manzi davvero insegnarono a leggere e scrivere a tanti analfabeti. Ma per tanto altro aveva ragione lui. Dava 3 all’italiano di Mike Bongiorno, ma elogiava le contaminazioni tra italiano e dialetto e disdegnava l’italiano tecnologico imperante: questi atteggiamenti risultavano spiazzanti allora presi letteralmente. Ogni formulazione di Pasolini invece andava compresa all’interno del suo inventario generale, del suo pensiero complesso e largo».

Erano anche, quelle pasoliniane, idee troppo avanti. Durante l’incontro leccese, all’obiezione del giovane Coluccia che disse a Pasolini che, in ogni caso, questa società contemporanea aveva aiutato chi non aveva da mangiare a ritrovarsi “almeno una bistecca nel piatto”, il poeta rispose: “Certo, non vogliamo che nessuno muoia di fame e bisognerebbe ragionare oltre, ma per fare in modo che non si sia solo una bistecca a soddisfare la gente ci vorrebbe una forza politica in grado di fare la rivoluzione, per portare queste forze popolari a diventare dominanti nella società italiana e non più subalterne”.

«Si riferiva al Pci - conclude Coluccia - lui parlava molto di marxismo, di uguaglianza e di classi sociali e consapevolezza, tante cose che oggi nessuno si permette neanche di nominare». Ecco, a proposito di imbarbarimento della società.

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Quotidiano Di Puglia