Uno studio dettagliato sulla più antica epigrafe in volgare salentino databile al XV secolo (1456 circa) è stato pubblicato (numero 317-318) del gennaio-giugno 2016...
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Castrignanò da tempo si dedica allo studio dell’antica lingua salentina e nel 2014 con l’Istituto storico italiano per il Medioevo e il Centro Studi Orsiniani, ha pubblicato un trattato sulla peste, “Il Libretto di Pestilencia (1448) di Nicolò di Ingegne Cavaliero et Medico di Giovanni Orsini del Balzo”, di cui una copia superstite è stata rintracciata a Parigi.
L’epigrafe in questione si trova nella cattedrale di Nardò, nella navata sinistra, all’interno di un affresco risalente alla metà del XV secolo raffigurante San Nicola, la Madonna col Bambino e Santa Maria Maddalena orante. Secondo quanto precisato dallo studioso nel suo saggio, questo tipo di epigrafi in volgare, dedicatorie o didascaliche, risalenti al tardo Medioevo, sono spesso presenti nelle aree più remote del Sud Italia e questa di Nardò rientra in questo contesto. Il merito della riscoperta (l’epigrafe era nota a qualche studioso) e segnalazione al pubblico va riconosciuto a due studiosi neretini, Marcello Gaballo e Armando Polito, che in un recente volume sulla storia della cattedrale di Nardò (De Lorenzis/Gaballo/Giuri 2014) la citano in un articolo dal titolo “Prima attestazione conosciuta del volgare di Nardò”. A questa prima segnalazione, si aggiunge ora questo studio linguistico e filologico che ne interpreta il testo e gli influssi letterari.
Ed ecco la trascrizione interpretativa: “O Tu chi ligi, fa’ el partisani/ Chi ley fey fare, Cola è ‘l sua nome / Filliolu de Luisi de Pephani”. L’interpretazione più attendibile può essere la seguente: “O tu che leggi, prendi la mia parte, chi la fece fare (la pittura), Nicola è il suo nome. Figliolo di Luigi di Epifani”. Il committente dell’affresco chiede dunque ai visitatori che si trovino ad ammirare l’opera di parlarne bene.
Per quanto riguarda la struttura metrica lo studioso la definisce “un brevissimo componimento poetico”, costituito da tre endecasillabi a rima. Fra l’altro egli scorge in questa didascalia l’eco dei versi di Dante (Inferno IX 61) “O voi ch’avete li inteletti sani”. È possibile pensare quindi che il testo della “Commedia” fosse già conosciuto nel Salento e letto nelle chiese come in altre parti d’Italia?
Sia la ricerca documentaria che l’analisi linguistica portano alla datazione dell’epigrafe alla seconda metà del XV secolo in quanto molti dati concordano con altri testi salentini di quel periodo. E per quanto riguarda le attestazioni in volgare salentino di Nardò, l’autore specifica che la prima attestazione certa, cioè datata con certezza, è contenuta in atto notarile del 1463 (una testimonianza resa da Elisabetha de Quintaballis al notaio Antonio Natali (Frascadore 1981).
Ci sarebbe poi l’esigenza di creare un “Corpus di iscrizioni in volgare del Salento” in quanto diverse sono queste testimonianze solo in parte studiate. La maggior parte è contenuta nelle chiese ed edifici di culto come le didascalie greco-romanze della chiesa di Santo Stefano a Soleto, i vari graffiti nelle cattedrali di Otranto e Nardò, nella chiesa dei santi Niccolò e Cataldo di Lecce, nella basilica di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia