Ha il nome di una delle “città invisibili” di Calvino, ma Bauci è un piccolo paese imma- ginario del Sud Italia dove il giornalista Franco Di Mare ha immaginato che un...
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«L’idea nasce dalla nostra resistenza a cambiare, da quanto siamo restii a modificare i comportamenti davanti alle novità, anche se poi diciamo sem- pre di voler cambiare tutto – spiega Di Mare – ma invece, sia per le grandi cose che riguardano il nostro Paese, sia per le piccole come lasciare una donna se siamo innamorati di un’altra, alla fine non facciamo mai niente. Qui la statua di un grande artista è nuda e quindi il prete pensa alla sua processione e al disappunto del vescovo che dovrebbe promuoverlo, il sindaco a non offendere la Curia perché non diventerebbe mai deputato. C’è sempre qualche piccolo tornaconto personale alla fine a frenare l’arrivo del nuovo».
Questa città immaginaria è quindi emblema del villaggio globale.
«Certo, e potrebbe essere qualunque città che d’estate è cosmopolita per i turisti, ma d’inverno torna ad essere provinciale, piena di idiosincrasie, paure, resistenze. È un simbolo di un Paese come il nostro che ha tante vocazioni che però soffoca».
E in cui la politica parla di arte e cultura solo in previsione di qualche vantaggio, mentre dall’altra parte tira i freni...
«Sì, siamo un paese di artisti, ricco di bellezze e di opere d’arte, ma anche un paese che non tutela niente e che non spende per l’arte, anzi tempo fa un ministro delle finanze diceva che con la cultura non si mangia. Sappiamo tutti che l’arte sarebbe il nostro petrolio, ma c’è sempre qualcuno che fatica a capirlo».
Nel suo romanzo corale alla fine spiccano come risolutivi i personaggi femminili.
«Le donne del romanzo sono portatrici di novità e cambiamento. In tutte c’è la speranza, la differenza, la voglia di mettersi in gioco, sono tutte positive. E in realtà voi donne siete capaci di cambiare per migliorare, mentre noi siamo molto più conservatori, facciamo fatica a muoverci, e questa è una verità assoluta. Nel libro gli uomini sono fermi, tranne due che si innamorano, perché quello è il momento cui perdiamo quella corazza virile inutile, si apre il cuore e assomigliamo più alle donne. Ma sono loro sempre il vero motore del cambiamento della società e della famiglia. I miei personaggi sono comunque archetipi e il lettore li riconoscerà in persone che ha incontrato nella vita, perché tutto il mondo è paese e questa cittadina siamo tutti noi. Sono tutti molto reali anche se non esistono davvero. Mi piace molto la protagonista femminile che non crede più di incontrare un uomo, perché è in quell’età bellissima tra i 40 e i 50 anni, e invece poi si rinnova per amore e cambia la propria esistenza. Anche la fruttivendola, di fronte al donnone esposto, comincia a dimagrire, curarsi e si riscopre più bella».
Dal suo ultimo libro è nata la fiction “L’angelo di Sarajevo” con Beppe Fiorello che ha avuto grande successo. Si aspetta la stessa “sorte” per questo?
«Beh, magari, credo che Bauci potrebbe chiamarsi Lecce o Capri o Taormina o come tutti gli 8mila e 400 comuni del nostro paese e questi personaggi si potrebbero ritrovare ovunque, da Nord a Sud, quindi potrebbe funzionare. Bisogna trovare un produttore disposto a scommetterci. La tv oggi è fuci- na di serie che hanno la dignità del cinema, è un po’ la nuova frontiera del cinema. Anche negli Stati Uniti ormai le serie sono fatte dagli attori del cinema e si stanno avvicinando sempre di più le produzioni. Non siamo più di fronte ad un mondo di serie B rispetto al grande schermo e anche i grandi investitori si stanno spostando in quella direzione». Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia