Si è diffusa a macchia d’olio, sui social e non solo, la notizia relativa all’entrata nel vocabolario della Treccani del neologismo “bufu”, diffuso...
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Ma cosa vuol dire “bufu”? “Bufu” è stato utilizzato dalla band nei suoi testi, oltre che nei messaggi in risposta agli hater sui social network, ed è nato dall’acronimo dell’inglese “By Us Fuck You”, che italiano si traduce con la frase “Vedi di andartene a quel paese”, volendo essere raffinati. “Bufu” viene quindi utilizzato come insulto generico il cui significato si può collocare nello spazio semantico tra “ridicolo” e “stronzo”.
Non è l’unico termine che il gruppo romano è stato in grado di diffondere. Bisognerebbe infatti aggiungere “eskere”, che viene utilizzato come sinonimo delle espressioni “facciamolo” o “prendiamolo”, a seconda del contesto, o “bibbi” che sta per “ragazza facile”, termini anch’essi traslitterati dall’inglese. Se “bufu” entra nel vocabolario Treccani, quindi, non si può non riconoscerne l’impatto sociale del mondo che aleggia attorno a quel termine e a chi se ne fa portatore. Decodificare il linguaggio dei giovani significa rintracciarne il sistema espressivo e valoriale tra di essi in voga. Può risultare paradossale, in effetti, visto che i linguaggi giovanili nascono all’interno di contesti storici, sociali e geografici differenti, con l’obiettivo di non consentire agli adulti di entrare nel loro mondo. Eppure il successo di gruppi come la Dark Polo Gang va oltre l’aspetto musicale e, così come è sempre stato da Elvis in poi, si fa correlativo oggettivo di una generazione. Se ascolto la Dark Polo Gang e parlo la loro lingua aderisco al loro sistema di valori. Allora la notizia dell’arricchimento di uno dei più prestigiosi vocabolari italiani con un neologismo come “bufu” dovrebbe far raddrizzare le orecchie a educatori e genitori degli adolescenti di oggi, perché i testi di gruppi trap come la Gang romana, ma anche come Sfera Ebbasta e Charlie Charles, raccontano di un mondo in cui non c’è solidarietà, rispetto, cooperazione e buoni sentimenti, ma solo individualismo, rincorsa al denaro e culto dell’apparenza, poiché le parole che usiamo in ogni contesto della nostra vita quotidiana definiscono il nostro modo di essere. E questo è necessario non dimenticarlo se vogliamo costruire un mondo migliore del tempo presente. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia