L’Islam, il Mediterraneo e la speranza illuminista

L’Islam, il Mediterraneo e la speranza illuminista
La strage dello scorso giovedì all’aeroporto di Kabul, che è costata la vita a centosettanta persone, ha riproposto drammaticamente la questione del terrorismo...

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La strage dello scorso giovedì all’aeroporto di Kabul, che è costata la vita a centosettanta persone, ha riproposto drammaticamente la questione del terrorismo jihadista, questa volta della frazione radicale dell’Isis-Kps (Islamic State Khorasan Province) in aperto contrasto con i talebani. Il fatto che ci sia un gruppo minoritario di questo tipo, che a sua volta raccoglie una miriade di sigle di altre minuscole formazioni islamiche unificate dall’obiettivo di voler ricostruire il Califfato, non solo ci dice che la galassia del fondamentalismo registra una molteplicità di posizioni (da quelle estreme a quelle più moderate), ma soprattutto ci ammonisce a non commettere l’errore fatale, spesso alimentato artatamente, di confondere il fondamentalismo jihadista con l’Islam tout court. 

Per sfatare questo pregiudizio, oltremodo istruttiva si rivela la lettura di un recente volume a più voci, “Utopia e critica nel Mediterraneo”, a cura di Antonio Cecere e Laura Paulizzi. Esso scaturisce dal lavoro cooperativo di un collettivo che si è dato il nome di “Filosofia in Movimento”, composto di ricercatori italiani che dal 2018 hanno iniziato a dialogare con intellettuali magrebini ed europei con l’intento di rintracciare un “pensiero critico mediterraneo” a partire dalla premessa, come sottolinea Cecere, che il Mediterraneo va inteso come paradigma di uno spazio/movimento in cui uomini, culture e linguaggi hanno creato una coscienza comune rimasta sepolta sotto la coltre delle divisioni e delle contrapposizioni, spesso strumentali e fittizie, e che oggi dovremmo riscoprire e valorizzare.

L'uomo "mediterraneo"

Infatti, studiare l’“uomo mediterraneo attraverso tre grandi direttrici: la memoria, la ragione e l’immaginazione di quello che è stato, che è ora e che potrebbe essere la civiltà mediterranea nei suoi tratti comuni” sarebbe l’antidoto più efficace contro tutti i dogmatismi (razziali, religiosi, culturali, ecc.) che affliggono gli abitanti dell’una e dell’altra riva del Bacino. Ma soprattutto significherebbe recuperare la visione profonda di F.Braudel secondo cui le culture mediterranee sono tra loro interconnesse, e per questo una vera e propria memoria collettiva è depositata nell’architettura di certe sue città, nel paesaggio e perfino nelle piante.

Cecere giustamente enfatizza la vocazione originaria del Mediterraneo di essere uno spazio/movimento ante litteram “interculturale”, nel quale le culture si sono incontrate/scontrate, ma anche ibridate e mescolate in mille guise. In particolare, dalla lettura di questi saggi esce confermata l’intuizione di Hans Blumenberg quando ebbe a osservare che anche nell’Antichità e nel Medioevo risplendono i lumi della ragione. 

Il "pensiero critico"

La civiltà mediterranea ha radici culturali e filosofiche comuni, a cominciare dalla traduzione della filosofia greca, in particolare della logica di Aristotele, in lingua araba, soprattutto grazie a Averroè e Avicenna, non a caso autori su cui richiamò l’attenzione E.Bloch in Avicenna e la sinistra hegeliana (1952). 
Cecere ricostruisce la genesi del pensiero critico nel Mediterraneo mettendo l’accento sulla storia della Logica, da intendersi in senso ampio non tanto come scienza rigorosa (quale diventerà in seguito), ma come tecnica e arte del ragionamento, vale a dire come sinonimo di capacità di organizzare il Discorso e costruire il Dialogo. Potremmo dire con una formula che dall’epistemologia del Sud, cioè dalla sua ragione plurale, è nato il pensiero critico occidentale. In questa storia Aristotele è fondamentale, ma lo sono altrettanto gli arabi Avicenna e Averroè che raccolgono l’eredità greca e inaugurano nel Mediterraneo una tradizione che fa del pensiero razionale una “comune matrice ideale”, a cui il pensiero musulmano progressista si rifà ancora oggi. Emblematica la vicenda di A.Abderraziq (1888-1966), intellettuale egiziano formatosi a Oxford, rettore dell’università islamica di Al-Azhar, che si ricollega ad Averroè in tema di esegesi coranica, incoraggia una serie di riforme e fa di quella università un centro propulsivo del modernismo islamico e dell’illuminismo egiziano. 
Ma anche la scrittura, oltre alla Logica, è stato il veicolo con cui l’“uomo mediterraneo” è riuscito a sviluppare come sua tendenza peculiare lo “scambio dei beni”, e da qui è nata la biforcazione tra Algebra e Metafisica, tra l’Utile e l’Universale costitutiva della coscienza occidentale.

Data la tirannia dello spazio, non possiamo dare conto della ricchezza dei temi affrontati nel libro. Tuttavia, almeno un punto cruciale va segnalato: nel mondo arabo va crescendo un Islam dei Lumi, un movimento illuminista, che lascia presagire un Mediterraneo aperto alla convivenza e al dialogo, così come nel secolo scorso pensatori come Franco Cassano di “Il pensiero meridiano” (1996) o Edgard Morin di “Pensare il Mediterraneo” (2019) hanno sognato.

A questa utopia concreta si richiamano le due studiose tunisine Halina Ouanada e Khadija Ben Massine: la prima riflette sull’ipotesi di un “concetto federativo” di Mediterraneo comprensivo di un “progetto civico inclusivo” fondato su valori comuni; la seconda critica l’idea di una cittadinanza senza Stato e astratta come quella promossa dalla globalizzazione (senza culture e senza territori), a cui i fondamentalisti reagiscono costruendosi un’identità regressiva. 


Infine, non meno interessanti sono i saggi di Laura Paulizzi sul Mediterraneo quale “spazio di emancipazione e fonte di un pensiero critico comune”, di Giovanni Magrì che mette a confronto la teoria del discorso di Habermas con il capitalismo attuale, e di Fania Oz-Salzberger che si sofferma sul rapporto tra ebraismo e Mediterraneo.  Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia