Si è costituito il presunto responsabile del ferimento del 41enne fasanese Teo Furleo, il tifoso-steward che giovedì sera ha perso tre dita della mano destra in...
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Intanto Teo Furleo è stato sottoposto a un lungo e delicato intervento chirurgico dai medici del Policlinico di Bari che sono riusciti a recuperare parzialmente la mano che inizialmente - all’ospedale “Delle Murge” di Gravina di Puglia - era stata considerata per l’80 per cento distrutta. Il 41enne fasanese ha riportato una grossa ferita al centro della mano e l’amputazione delle falangi dell’indice e del medio, mentre è stato ricostruito il pollice. Ma bisognerà aspettare l’esito dell’intervento che verificare la reale funzionalità dell'arto.
«Ho sofferto tantissimo, un dolore mai provato in vita mia, che non auguro nemmeno ai nemici, se mai dovessi averceli», ha commentato il ferito. «Ricordo perfettamente tutto, fino al mio ingresso in sala operatoria al Policlinico di Bari. Le immagini sono molto nitide, dall’esplosione alla gente che mi è stata vicina».
Perché si è avvicinato a quell’ordigno?
«Chi mi conosce sa che io viaggio per gli stadi da tantissimi anni: ritenevo di saper distinguere una torcia da una bomba. Ero certo di aver visto arrivare sul campo un fumogeno: per non rischiare di far bruciare l’erbetta del campo della società che ci stava ospitando, mi sono affrettato per raccoglierla mentre questa rotolava verso di me. L’ho raccolta e col piede sinistro ho spento l’erbetta che bruciava. In quell’istante, però, mi è esplosa anche la mano. Sono stati attimi interminabili: in ospedale a Gravina i medici hanno avuto seri problemi nel sedarmi, l’anestesia non faceva effetto: ho chiesto loro anche di stordirmi, volevo perdere conoscenza, svenire pur di non soffrire».
Ora ci sono tanti amici intorno a lei, ma c’è stato un momento in cui sei è sentito solo?
«Nel momento dell’esplosione perché chi si avvicinava faceva subito un passo indietro, mettendosi le mani tra i capelli perché vedevano le condizioni della mia mano. C’è stato qualche amico, fortunatamente, che mi ha aiutato fin da subito. Devo un ringraziamento anche al massaggiatore del Fasano calcio, Dario Faggiana, che mi ha messo un laccio emostatico per evitare di perdere troppo sangue».
Fin dall’inizio, nonostante lo scetticismo iniziale, ha sempre difeso la scelta della Federazione che ha optato per il campo di Gravina quale sede della partita.
«Sì, senza dubbio. Alla dirigenza barese avevo garantito che i tifosi del Fasano non avrebbero fatto danni allo stadio. Mi sono offerto di fare lo steward perché sapevo che con i miei amici ci sarebbe stato un dialogo in caso di tensioni. In effetti tutto è andato bene, ma nessuno poteva prevede la mossa del “cane sciolto”. Le colpe non sono da addebitare al gruppo organizzato degli ultras Fasano».
Come le cambia la vita ora?
«Sarò più forte di prima, la mia passione per il calcio resterà sempre. Voglio lanciare però un messaggio: “No alle bombe allo stadio”. Se ci fosse stato un bambino al mio posto, avrebbe perso la vita. Allo stadio non si va con le bombe, anche se di fronte dovessimo avere i peggiori nemici calcistici. Nonostante il rapporto non idilliaco, voglio comunque ringraziare i tifosi del Cerignola, che mi hanno contattato e sono venuti a trovarmi qui in ospedale».
Cosa prova verso chi ha lanciato la “torcia infame”?
«Inizialmente ero pronto a perdonarlo, però avrei gradito che venisse a chiedermi scusa prima di consegnarsi ai carabinieri. Ci saremmo forse abbracciati, lo avrei rimproverato. Un domani potrò perdonarlo, chissà: il mio cuore è capace di farlo, ma ci vorrà del tempo però. Ho tanta rabbia ora». Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia