Le mani della Scu sulla festa della Madonna: due condanne

Quattro anni a Gennaro Di Lauro e sei anni a Cosimo Carrisi. Riconosciuta l'aggravante della mafiosità

Un'immagine della festa del Casale
Condannati a quattro ed a sei anni di reclusione a testa i due brindisini arrestati con l’accusa di avere minacciato un organizzatore di eventi per costringerlo a...

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Condannati a quattro ed a sei anni di reclusione a testa i due brindisini arrestati con l’accusa di avere minacciato un organizzatore di eventi per costringerlo a lasciare la gestione della festa della Madonna dell’Ave Maris Stella che si tiene al rione Casale di Brindisi ogni secondo fine settimana di settembre. Le pene sono state inflitte dal giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Lecce, Angelo Zizzari:quattro anni a  Gennaro Di Lauro e sei anni Cosimo Carrisi, 33 e 35 anni, con la riduzione di un terzo della pena prevista dalla scelta del processo in abbreviato concordata con gli avvocati difensori Gian Vito Lillo e Cinzia Cavallo. 

Chiesti sei anni

Sei anni di reclusione ha invocato per entrambi gli imputati il pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia, Carmen Ruggiero, titolare dell’inchiesta condotta con i poliziotti della Squadra mobile della Questura di Brindisi. Inchiesta lampo perché i due imputati vennero arrestati a metà settembre, a pochi giorni dall’apertura del fascicolo. L’assoluzione è stata invocata dai difensori sul presupposto che gli indizi raccolti nel corso delle indagini non avessero dimostrato le pressioni contestate ai due imputati, sull’organizzatore della festa.
Pene accessorie l’interdizione dagli uffici pubblici: perpetua per Carrisi e di cinque anni per Di Lauro. Infine il giudice del processo ha indicato tre mesi il termine per depositare le motivazioni della sentenza.

La mafiosità

Processo che si è tenuto a Lecce poiché competente la Dda per l’aggravante dell’agevolazione mafiosa riconosciuta sia dalla giudice per le indagini preliminari Giulia Proto nell’ordinanza di custodia cautelare che dal processo di primo grado conclusosi ieri: «Con le aggravanti di avere commesso il fatto avvalendosi delle condizioni di cui all’articolo 416 bis (associazione mafiosa, ndr)», indicato l’aggravante del capo di imputazione di tentata estorsione. «Avendo essi agito evocando e facendo intervenire superiori referenze criminali di tipo mafioso, così avvalendosi della relativa forza di intimidazione tale da determinare una condizione di assoggettamento e di omertà delle persone offese, nonché al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso comunemente nota come Sacra corona unita».

 

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Quotidiano Di Puglia