Soffocò la figlia di tre mesi, i giudici: «Ha la sindrome di Munchausen, non voleva ucciderla»

Soffocò la figlia di tre mesi, i giudici: «Ha la sindrome di Munchausen, non voleva ucciderla»
Non voleva uccidere la figlia Emanuela, di 3 mesi. Non era sua intenzione, nonostante le abbia impedito di respirare avvolgendola in un lenzuolo. Con questa motivazione, i giudici...

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Non voleva uccidere la figlia Emanuela, di 3 mesi. Non era sua intenzione, nonostante le abbia impedito di respirare avvolgendola in un lenzuolo. Con questa motivazione, i giudici della Corte d'Assise di Bari hanno condannato a 16 anni Giuseppe Difonzo, il padre della piccola, perché «i comportamenti lesivi in danno della figlia» avevano l’obiettivo «di richiamare l’attenzione su di sé come colui che riusciva sempre a farla salvare in extremis, come pure ha tentato di fare nell’ultimo episodio letale». Il 31enne di Altamura, dunque, è stato condannato per omicidio preterintenzionale aggravato e per due episodi di lesioni personali volontarie aggravate, con una netta riqualificazione delle originarie contestazioni di omicidio volontario e tentato omicidio.


Secondo i giudici «tranne che nell’ultimo episodio nel quale si è verificato il decesso, Difonzo tendeva a creare situazioni di pericolo per la bambina, per così dire, controllabili, ossia che non mettessero in pericolo in modo irreversibile la vita della stessa». La Corte le definisce «condotte volontarie finalizzate non a provocare la morte, ma solo a ledere, come effetto della sindrome di Munchausen per procura», che «lo spingeva ad attirare l’attenzione su di sé provocando sofferenza alla bambina».

Soffoca figlia di tre mesi e poi chiede il risarcimento danni


Emanuela, nata nell’ottobre 2015, era stata ricoverata per 67 giorni in meno di tre mesi per crisi respiratorie provocate, secondo l’accusa, sempre dal padre, fino al decesso durante un ricovero nell’ospedale Pediatrico Giovanni XXIII di Bari, nella notte tra il 12 e il 13 febbraio. La Corte ha ritenuto che si possa «escludere il dolo di uccidere», perché «l'imputato non ha portato a termine l’azione omicidiaria, come pure avrebbe potuto, ma ha chiamato i soccorsi quando ha visto comparire i segni della cianosi». Per Emanuela, però, la crisi respiratoria era già troppo grave. I pm che hanno coordinato le indagini, Simona Filoni e Domenico Minardi, impugneranno la sentenza. Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia