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La morte della psichiatra Barbara Capovani lascia sgomenti tutti i medici. In particolare, dura è la nota di quelli che aderiscono all'associazione pugliese Anaao Assomed che sottolineano come in Puglia - e nella Asl Bari in particolare - le aggressioni ai danni dei medici siano un fenomeno inarrestabile.
"Anche la Puglia - si legge in una nota - ha pagato un prezzo troppo alto per la mancata sicurezza degli operatori della sanità; la morte di Paola Labriola, avvenuta per mano di un paziente il 4 settembre 2013, è una ferita insanabile, un dolore inconsolabile che si rinnova ogni volta che si ha notizia di una ennesima aggressione.
Da allora, duole sottolinearlo, nulla è cambiato. Gli episodi di violenza non solo non sono cessati, ma sono in costante e continuo aumento. Gli ultimi, in ordine di tempo, solo il mese scorso. Sette al giorno in tutta Italia, uno al mese nella sola Asl di Bari".
I numeri
I dati della Asl di Bari scattano una fotografia allarmante ma realistica dell’entità del problema.
Le denunce
Le denunce, sottolineano da Annao Assomed, non sono che una minima parte degli episodi che realmente accadono giornalmente perché le vittime si sentono sole e vulnerabili, senza ulteriore protezione. Con la conseguenza che per paura, non si dichiara l’accaduto. Le denunce per infortuni sul lavoro presentate all’Inail – come viene derubricato l’atto di violenza subito, per i motivi appena esposti – sono oltre mille in un anno.
“La Asl Bari ha il triste primato nelle aggressioni al personale sanitario – commenta Silvia Porreca, segretaria aziendale Annao Assomed Asl Bari -. La nostra posizione, come più volte espressa anche dal segretario nazionale Anaao Assomed, Pierino Di Silverio, è chiara: fino a quando non si metteranno in atto tutte le condizioni per tutelare il personale sanitario nell’esercizio delle proprie funzioni, non faremo che contare le vittime. Occorre, lo ribadiamo, il riconoscimento del medico quale pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, l’inasprimento delle pene nei confronti degli aggressori, il rafforzamento dei sistemi di vigilanza in tutti i presidi, soprattutto quelli con maggiore vulnerabilità come reparti e centri psichiatrici e pronto soccorso. Il riconoscimento di pubblico ufficiale è centrale perché la denuncia partirebbe in maniera automatica, senza che sia la vittima a doverlo fare, cosa che – come evidenziano i dati – purtroppo nella maggior parte dei casi non avviene per paura di affrontare da soli ritorsioni ben peggiori. Il livello di stress legato alla malattia e le lunghe attese, rendono l’utente aggressivo e l’operatore sanitario la vittima predestinata. Fino a quando non attueremo queste semplici misure, continueremo a piangere e contare vittime. E continueremo a lasciare famiglie a piangere per sempre un proprio caro”.
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