«Le ragioni dello sciopero non sono solo una rivendicazione degli scatti stipendiali. La questione è che con questi livelli di definanziamento...
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Uno sciopero dal valore innanzitutto simbolico.
«Sì, una protesta simbolica e una forma minimale di conflitto. Ma può servire. A condizione che l’Università torni al centro del dibattito pubblico e a condizione che il Governo chiarisca finalmente, al di là dei tecnicismi dell’Anvur, qual è la sua linea politica nel settore della formazione: se intende progressivamente smantellarlo, privatizzarlo, spostarlo quasi interamente al Nord, come sembra di capire, o se è disponibile a far marcia indietro rispetto alle devastanti politiche dell’ultimo decennio».
Per qualcuno si tratta solo di una rivendicazione corporativa. Peraltro di lavoratori privilegiati, con stipendi elevati.
«Non può ridurre lo sciopero dei professori a una mera rivendicazione corporativa. È ormai evidente che le politiche formative in Italia sono calibrate sugli interessi di Confindustria e, dunque, assecondano la domanda di lavoro espressa dalle imprese italiane. Essendo, nella gran parte dei casi, imprese di piccole dimensioni, a gestione familiare, poco innovative, collocate in settori produttivi maturi, non hanno bisogno né di forza-lavoro qualificata né di ricerca di base e applicata. Coerentemente, domandano forza-lavoro poco qualificata e domandano un sistema formativo che la produca. Riguardo agli stipendi dei docenti universitari è necessario innanzitutto precisare che sono bloccati dal 2011 a fronte degli sblocchi accordati ad altre categorie del pubblico impiego. Ed è poi opportuno chiarire che un professore di seconda fascia, che diviene tale in media all’età di 50 anni, dopo un’esperienza accademica quasi trentennale, guadagna circa 2200 euro mensili netti, mentre un suo collega europeo o statunitense può guadagnare oltre cinque volte tanto».
Lei ha detto che non si tratta solo di scatti stipendiali, ma di continui definanziamenti che legano le mani ai prof, privandoli anche di cose minime, ma essenziali per la didattica.
«L’acquisto di libri, l’abbonamento a riviste, la partecipazione a Convegni nazionali e internazionali, cioè tutto ciò che concorre a produrre una buona qualità della ricerca scientifica in ogni ambito disciplinare, va a gravare sullo stipendio, con la conseguenza, pressoché ovvia, che si acquistano meno libri, si leggono meno articoli scientifici, si partecipa a un numero minore di convegni e, dunque, si fa peggiore ricerca. Il punto essenziale che legittima lo sciopero riguarda la necessaria e comunque auspicabile saldatura fra ricerca e didattica. Nelle condizioni date, e soprattutto nelle sedi meridionali, fare ricerca di buona qualità, che significa avere accesso a ricerche prodotte in altre sedi, soprattutto internazionali, è sostanzialmente impossibile, data l’assenza di fondi e il blocco stipendiale». Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia