Ex Ilva, il viaggio a Taranto tra gli operai dell'indotto disperati ed esausti

Ex Ilva, il viaggio a Taranto tra gli operai dell'indotto disperati ed esausti
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«Forse non è chiaro, qui ci sono persone di 50 anni con le lacrime agli occhi. Uomini che non sanno qual è il proprio futuro, uomini disperati». Con queste parole inizia il viaggio della disperazione tra gli operai dell’appalto dell’ex Ilva. Frasi che si accavallano con sfumature diverse a seconda della situazione personale ma accomunate, tutte, da paura, rabbia, incertezza. L’annuncio di Acciaierie d’Italia deflagrato sabato scorso di buttare fuori dallo stabilimento ben 145 ditte dell’indotto è l’ennesimo colpo durissimo da dieci anni a questa parte. Già perché ciclicamente la vertenza dell’acciaio viene alla ribalta nazionale ma la verità è che questi lavoratori sono sulla graticola a tempo indeterminato.

Le voci degli operai

«Per adesso siamo stati parcheggiati - racconta Davide Nettis, operaio che si occupa per una ditta dell’appalto di costruzione e manutenzione - Abbiamo aperto la cassa il 9 aprile ma sono anni che alterniamo gli ammortizzatori perché viviamo in un clima di incertezza. Lavoriamo per un paio di mesi e poi ci bloccano. Abbiamo appalti in altre parti del mondo ma a 56 anni andare fuori non è una passeggiata. Ho una moglie e figli da mantenere, per fortuna non ho un mutuo da pagare perché vivo in affitto ma pago 350 euro al mese senza considerare le utenze. Sto a casa a 800 euro al mese, così non si vive». Davide ricopre anche il ruolo di coordinatore di tutti i rappresentanti sindacali unitari dell’appalto: il suo è anche un osservatorio da dove tastare umori e situazioni. «In un giorno ho dovuto ricaricare il cellulare tre volte. Ho sentito tantissimi operai che hanno ricevuto chiamate da aziende per dire di stare a casa in ferie».

Chi non conosce l’ex Ilva non può avere la percezione di questo gigante di argilla. Solo per quanto riguarda l’esterno, il parcheggio delle portinerie imprese (riservato dunque agli appalti) ospita 1800 automobili di operai che arrivano da tutta la Puglia e non solo. In totale sono 4.800 cartellinati nell’appalto. Da oggi o da domani, circa 2mila persone saranno buttate fuori. In molti hanno la busta paga pignorata perché non vengono pagati da mesi. «È una domenica bruttissima, questa - spiega Vincenzo Bottiglione - Noi ci occupiamo di impiantistica elettrica all’interno del Siderurgico, sono 22 anni che sono nell’appalto. La situazione è peggiorata dall’avvento dei Mittal. Adesso l’azienda sta cercando altrove commesse, ci sono colleghi in Portogallo, altri a Bolzano o a Padova. La commessa con l’ex Ilva si è ridotta molto, ancora non abbiamo ricevuto comunicazioni ufficiali dopo che la bomba è esplosa sabato. Sapremo domani (oggi per chi legge ndr) ma è chiaro il contenuto della lettera di Acciaierie d’Italia: a breve resteremo a casa. Sono sposato, ho tre figli di cui uno all’università. Sono molto preoccupato, fatico anche a dirlo. È una situazione che si trascina da anni, non ho manco più la forza di combattere. Ne abbiamo subite tante, noi dell’appalto siamo come i soldati in prima linea: qualunque cosa succeda, siamo i primi a essere colpiti».

«Siamo disperati»

Chi da 20 anni, chi come Roberto Tarentini esattamente da 25. «Io lavoro nell’indotto dal 1997. In questo momento siamo in cassa integrazione, ci occupiamo di carpenteria e di meccanica. Gli ultimi anni sono stati disastrosi a causa della committente Acciaierie d’Italia che paga a singhiozzo e in ritardo. In totale siamo un’ottantina di unità, tutti in cassa da giugno». L’ammortizzatore è per un anno ma sicuramente proseguirà, dice sconsolato Roberto. «Prendo mille euro al mese per 22 giorni retribuiti: di questi tempi significa fare la fame. Ho una moglie, due ragazzi di 10 e 15 anni. Ho le spese di trasporto perché vivo a Torricella, il futuro non esiste. Questi sono buoni solo a ricattare, noi abbiamo dato tutto. Cosa vogliono più da noi? Domani andremo in portineria e capiremo se i tornelli si aprono, ma dalle ultime notizie siamo pessimisti. Siamo nel 2022 e succedono queste cose, è vergognoso».

Una lotta tra poveri perché anche chi è un dipendente diretto non se la passa molto meglio. Sì, qualche tutela in più ma le condizioni sono altrettanto complicate. «Anche per noi la situazione è difficilissima, drastica - annuisce Giovanni Casamassima - Stiamo facendo anche noi tantissima cassa e io letteralmente non riesco ad arrivare a fine mese. Ho 42 anni, ho due bambine e siamo una famiglia monoreddito: cerco di non mostrare le mie ansie ma poi ci sono dei cedimenti inevitabili. Ho un mutuo sulle spalle, la mia stanchezza e la mia rabbia le porto a casa e il clima non è dei più facili». E una frase finale da scolpire sulla pietra: «Siamo stanchi anche di sentire le solite promesse dalla politica, basta. Non ce la facciamo più».

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Quotidiano Di Puglia