Aveva cambiato da poco la password di tablet e cellulare, un modo per non consentire a nessuno di entrare in quella realtà fatta di chat e giochi, immagini e simboli che...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
LEGGI ANCHE Il biglietto ai genitori: «Vi amo, ho un uomo incappucciato davanti»
È da qui che prendono le mosse le indagini, dal fattore tempo. Chi gli aveva dato un countdown? E quando era iniziato il conto alla rovescia? C’era una sfida in ballo? Chi è l’uomo incappucciato «davanti» che non ha tempo da perdere? Ieri mattina, è stata sequestrata una telecamera esterna che inquadra la casa del bambino, per verificare l’eventuale presenza di un uomo in carne e ossa all’esterno dell’abitazione. Stando alle prime verifiche, non ci sarebbero tracce o presenze sospette, quanto basta a cercare quell’uomo incappucciato nella realtà virtuale (e drammaticamente pericolosa) che circola sui canali social.
LEGGI ANCHE Chi è Jonathan Galindo, il folle gioco social che spinge a uccidersi
Inchiesta del pm Raffaele Tufano e dell’aggiunto Raffaello Falcone, ieri mattina è stata eseguita l’autopsia, che non ha fatto emergere sorprese: si è trattato di un suicidio, non ci sono segni o lesioni non riconducibili alla caduta. Fascicolo per istigazione al suicidio, si procede contro ignoti, ma si attende nelle prossime ore il secondo step delle indagini, quello decisivo: la «apertura» del tablet e del telefonino cellulare usati dal bambino, nel tentativo di verificare la presenza di qualcosa di anomalo nella vita «social» dell’undicenne.
Una svolta attesa anche dai legali nominati dalla famiglia del piccolo, i penalisti Lucilla Longone e Maurizio Sica, che hanno a loro volta nominato un consulente informatico di parte. Ma torniamo alle indagini. Torniamo alla pista informatica: quella di una challenge attraverso i circuiti social, che possono condizionare i più giovani, magari spingendoli in modo subdolo ad accettare atti di autolesionismo o gesti estremi. Spazzatura come “Blue whale” o “Jonathan Galindo” o come chissà quali altre diavolerie circolate su applicazioni come tik tok.
LEGGI ANCHE Suicidio a Napoli, l'ipotesi dell'istigazione
È in questo scenario, che la Procura di Napoli ha ascoltato il gruppo di amici dell’undicenne. Si cerca di capire se avesse ricevuto una telefonata o un messaggio audio. Inevitabili alcune domande: il bimbo era apparso turbato? Si era diffuso nello stesso gruppetto lo stesso «gioco» social? Era stata scaricata una app in particolare? Domande doverose, viste le condizioni di vita dell’undicenne: figlio di due professionisti napoletani, aveva condotto un’esistenza felice, assieme ai fratelli; frequentava con passione la scuola, amava lo sport (il calcio in particolare), era sano, arguto, sempre dalla risposta pronta. Un bambino felice, grazie alla dedizione dei genitori e all’amore di un intero contesto familiare. Come gran parte dei suoi coetanei, i millenials, era pratico di compurer e telefonini, che maneggiava con una certa dimestichezza, anche alla luce dei moduli didattici telematici imposti dalla pandemia negli ultimi mesi di scuola. Stando a una primissima ricostruzione, aveva trascorso il pomeriggio assieme ad amici, poi era stato in famiglia, accanto alla sorella. In nottata, era sceso dal letto per andare in bagno, ha scritto il messaggio alla madre e ha poggiato il telefonino sul pavimento. Poi, il vuoto.
Leggi l'articolo completo su
Quotidiano Di Puglia