Taranto, paternità fittizia: assolti in tre

Taranto, paternità fittizia: assolti in tre
di Lino Campicelli
3 Minuti di Lettura
Sabato 28 Novembre 2015, 11:49
Per poter dare un futuro migliore alla propria bambina, nata da un rapporto clandestino, una cittadina rumena si era accordata con un’amica di famiglia, per assegnare al fratello di quest’ultima la falsa paternità della propria figlia. L’accordo prevedeva che una volta registrata ufficialmente la paternità della bambina, la madre naturale l’avrebbe affidata al finto padre che ne avrebbe avuto ogni cura. La madre, in questo caso, sarebbe dovuta scomparire per sempre.

L’accordo scellerato, però, era saltato. A pentirsi erano stati in due: la madre, che aveva deciso di non poter rinunciare alla propria figlia; il finto padre, che s’era reso conto di ciò che stava facendo e aveva deciso che non voleva più portare a compimento il proposito.

Ed è stata proprio questa desistenza volontaria a salvare gli imputati da una condanna pesante. Il tribunale in composizione monocratica (giudice dottor Benedetto Ruberto), infatti, ha valutato positivamente proprio il contemporaneo rifiuto dei protagonisti di concretizzare l’accordo, prima della registrazione ufficiale all’anagrafe.

Così, una cittadina di nazionalità rumena e una coppia di tarantini, fratello e sorella, sono stati assolti dal reato di tentativo di alterazione di stato civile di una neonata. Gli imputati hanno infatti beneficiato dell’esimente prevista dal terzo comma dell’articolo 56 del codice penale e sono stati assolti perchè il fatto contestato «non costituisce reato».

Per consolidata giurisprudenza, infatti, l'istituto della desistenza richiede che la volontà di desistere si sia formata in maniera del tutto libera (pur se non a seguito di un vero e proprio pentimento), senza essere stata coartata da fattori esterni. Cosa, questa, che è avvenuta nel caso specifico, così come evidenziato in motivazione dal dottor Ruberto (nel riquadro a sinistra), che ha peraltro citato due sentenze dei supremi giudici (del 1998 e del 2008) ad avallo della conseguente applicazione del beneficio.

La vicenda, curiosa e complessa, risale all’estate del 2009, allorchè nell’ospedale di Taranto era nata una bambina da madre di nazionalità rumena. Già in quella circostanza, all’ostetrica che aveva curato le procedure era stato indicato, come cognome della nascitura, quello dell’uomo che figurava come il vero padre.

Nel frangente, però, la registrazione ufficiale dell’atto non era avvenuta per un doppio particolare. La cittadina rumena, infatti, risiedeva all’estero e non a Taranto; e la donna non risultava essere sposata con il “padre” della bambina. A causa di queste circostanze, non era applicabile la convenzione stipulata fra Asl e Comune di Taranto che consente le registrazioni delle nascite direttamente in ospedale. Alla coppia era stato detto, quindi, che la registrazione doveva avvenire, entro dieci giorni dalla nascita, direttamente al Comune di Taranto.
Tuttavia, proprio quei dieci giorni di tempo sono stati fatali e provvidenziali nel contempo. Nelle more, infatti, sia la rumena che il tarantino, volontariamente, avevano deciso di far saltare l’accordo originario, favorito dall’intercessione della sorella del finto padre.

Per la cronaca, la vicenda era rimbalzata da comare a comare ed era finita all’attenzione della polizia che aveva avviato l’indagine, finendo con l’incriminare per il reato tentato sia le due donne che l’uomo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA