Mano pesante su “lady coca”: inflitti 130 anni di reclusione

Mano pesante su “lady coca”: inflitti 130 anni di reclusione
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Venerdì 28 Aprile 2017, 05:35 - Ultimo aggiornamento: 13:58
Pioggia di condanne sugli imputati del processo nato dall’inchiesta denominata “lady coca”. Con il verdetto del Tribunale che, su alcune posizioni, è andato oltre le richieste formulate dal pubblico ministero. Tredici in tutto le condanne decretate ieri pomeriggio dal Tribunale dinanzi al quale sono sfilati solo una parte dei 24 imputati rimasti invischiati nelle indagini con le quale venne inquadrato il traffico di droga, cocaina ed hascisc in particolare, tra il capoluogo jonico e Napoli. 
La più alta è stata inflitta alla tarantina Piera De Padova, una delle donne dell’inchiesta. Per lei il collegio ha decretato ventidue anni e sei mesi di carcere: mentre 22 anni dovrà scontarli il suo compagno Antonio Ciccolella. 
Condanne più alte rispetto alle stesse conclusioni della pubblica accusa. Basti pensare che nel caso della De Padova e di Ciccolella, il pm aveva concluso con le richieste a quattordici anni. 
Il verdetto del Tribunale, presieduto dal giudice Fulvia Misserini, però, ha colpito in maniera evidente coloro per i quali è risultato provato il ruolo nell’associazione criminale la cui attività è stata fotografata dagli investigatori della Polizia. 
Nel mirino, infatti, è finito un gruppo di tarantini riconducibile alla famiglia Ciccolella, ritenuto epicentro del traffico di stupefacenti venuto a galla tra il 2009 ed il 2010.
Il procedimento per anni ha navigato sotto traccia. Con gli investigatori della Polizia impegnati nel ricostruire l’organigramma della presunta organizzazione che avrebbe messo radici in riva allo Jonio. E si sarebbe rifornita di stupefacenti grazie al classico binario che lega Taranto alla mala di Napoli. 
Un canale storico da sempre battuto per coltivare proprio il business della droga. E che anche in questo caso avrebbe funzionato. 
Le indagini della Polizia, infatti, inquadrarono l’attività della presunta organizzazione portando alla incriminazione di menti e manovali del traffico illecito. 
Un meccanismo che il pm Antonella De Luca ha illustrato, così come è emerso dall’attività inquirente, nella sua requisitoria. Chiusa con la richiesta di condanna per i quattordici imputati alla sbarra. 

In quell’occasione, il magistrato aveva puntato la sua attenzione sull’attività investigativa che sfociò nell’incriminazione di 24 persone, parte delle quali ha preferito uscire dal giudizio optando per l’abbreviato. 
Una vicenda nella quale un ruolo fondamentale venne attribuito dagli investigatori a due donne: proprio la tarantina Piera De Padova e la napoletana Patrizia Vespa, quest’ultima indicata in altri procedimenti come una delle più attive rifornitrici di sostanze stupefacenti del Mezzogiorno d’Italia. Una lettura che evidentemente ha retto. Con le due donne che sono state condannate. Ventidue anni e mezzo sono piovuti sulla De Padova e undici anni e sei mesi sulla Vespa. Pene che, come si diceva, sono state calibrate sul ruolo imputato alle due.
Con una lettura della vicenda che si riflette anche nelle altre condanne inflitte a chi è stato ritenuto parte attiva della organizzazione dedita al traffico e allo spaccio di droga. Così il tribunale ha inflitto 22 anni ad Antonio Ciccolella, 21 anni a suo padre Onofrio Ciccolella, 21 anni a Loredana Proietti, undici anni e mezzo ad Abele Ciccolella e dodici anni ad Antonio Proietti. 
Per converso pene ridotte, rispetto alle richieste del pm, per le posizioni sgravate dalla contestazione iniziale di associazione. Tre anni e mezzo, quindi, sono stati inflitti a Giovanni D’Ippolito, un anno e mezzo con pena sospesa a Ivano Vitaliano Farina, un anno e otto mesi a Francesco Galileo, tutti scagionati dal reato associativo, due anni e sei mesi, poi, a Giacomo Marasciulo. Un anno e 4 mesi ad Agostino Sardone, e Damiano Villa Pace (difeso dagli avvocati Salvatore Maggio e Stefania Tripaldelli), entrambi scagionati dall’accusa di associazione. 
Assolto completamente, infine, Vincenzo Mancini, difeso dall’avvocato Maurizio Besio. 
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